Oggi e domani gli iracheni potranno inviare il proprio curriculum al premier designato Mahdi per un posto ministeriale. Una mossa che intende cancellare le accuse di clientelismo partitico e appoggiata dal religioso sciita al-Sadr che insiste per la formazione di un un governo “tecnico e indipendente”
della redazione
Roma, 9 ottobre 2018, Nena News – Candidature aperte per gli incarichi ministeriali del nuovo governo iracheno: oggi e domani i cittadini iracheni potranno inviare il proprio curriculum al nuovo primo ministro Adel Abdul Mahdi, nominato pochi giorni fa dal neoeletto presidente Saleh, tramite un sito internet dedicato.
È la novità del giorno a Baghdad, che da noi potrebbe ricordare le modalità di candidatura in parlamento del Movimento 5Stelle: un governo aperto ai cittadini, sì, ma con un fine propagandastico preciso. A tale apertura, più o meno concreta, si uniscono le consultazioni in corso con i partiti politici rappresentanti in parlamento, a cinque mesi dalle elezioni del 12 maggio, nel tentativo di uscire dallo stallo politico che sta seriamente aggravando le condizioni del paese.
Mahdi, ex marxista e poi sostenitore della rivoluzione khomeinista in Iran, considerato vicino all’Iran, era stato scelto dopo lunghe contrattazioni dalle fazioni vincitrici delle elezioni, a partire dal religioso sciita Moqtada al-Sadr. Figura nota per le sue posizioni anti-iraniane, al-Sadr ha compiuto una virata verso Teheran dopo un incontro a Beirut con Nasrallah, leader di Hezbollah, e il generale Suleimani, potente capo del corpo di élite delle Guardie Rivoluzionarie. È in Libano che sarebbe emersa la convergenza su un punto comune: impedire nuove ingerenze da parte statunitense.
Lo stesso al-Sadr ha però invitato i suoi sostenitori a non candidarsi per i ministeri né ad accettare incarichi. La motivazione: dare a Mahdi “più opzioni per formare il governo” e permettere la formazione di un esecutivo di tecnici e non di politici “settari”, uno dei cavalli di battaglia della campagna che i sadristi portano avanti da anni, prima nelle strade e le piazze e poi in campagna elettorale. Da tempo al-Sadr ha cercato di svestire i panni del leader sciita per mostrarsi all’Iraq come figura nazionale, non settaria, interessata in primis alla lotta alla corruzione, figlia di un sistema politico clientelare in cui ogni partito, forte dell’appartenenza a una determinata comunità, si è garantito spazio politico ed economico.
Su Twitter, al-Sadr ha accusato i partiti politici di aver approfittato dell’ingresso nei precedenti governi: “Ora è tempo che sia il popolo iracheno a esercitare i propri diritti con un governo tecnico e indipendente”.
La formazione di un governo è una priorità in un periodo di seria crisi interna: gli ultimi mesi sono stati caratterizzati dalle proteste nel sud sciita, a partire da Bassora, contro corruzione e mancati servizi. Alle manifestazioni, che hanno visto l’assalto degli uffici locali di diversi partiti politici, il governo al-Abadi ha risposto inviando l’esercito: almeno 18 i morti, centinaia i feriti. Ma le proteste non si sono fermate e si sono acuite con i migliaia di casi di avvelenamento da acqua contaminata a Bassora, indice di una pressoché totale assenza di ricostruzione.
Nonostante i miliardi di dollari confluiti in Iraq dopo il 2003, il paese non è stato mai rimesso in piedi: mancano le infrastrutture fondamentali e i servizi base, elettricità e acqua in primis. Per questo ieri il primo ministro designato Mahdi – che ha 30 giorni per formare un governo e presentarlo al parlamento – ha indicato nella ricostruzione il punto in cima alla propria politica: “La ricostruzione e il ripristino della posizione dell’Iraq nella comunità internazionale sarà la nostra principale priorità”.
Secondo le stime sarebbero necessari 88 miliardi di dollari per rimettere in sesto il paese dopo l’occupazione di metà del territorio da parte dell’Isis e la successiva campagna militare per sradicarlo. Intere città restano un cumulo di macerie, a partire da Mosul ovest, dove oltre 40mila case sono state distrutte e i cadaveri restano ancora sepolti sotto le rovine delle abitazioni. Ma anche Fallujah, Ramadi, Sinjar liberate ormai da anni ma mai oggetto di una concreta ricostruzione. Nena News