Ieri i parlamentari non sono riusciti a nominare il loro presidente: i sunniti puntano su al-Juburi, Maliki lo teme. I jihadisti prendono la città di Dhuluiya a 80 km dalla capitale. HRW accusa il governo di aver giustiziato 255 prigionieri sunniti.

Usama al-Nujaifi, ex presidente del parlamento annuncia il nuovo stallo (Foto: Adam Ferguson/The New York Times)
dalla redazione
Roma, 14 luglio 2014, Nena News – Un altro fallimento politico, mentre gli islamisti proseguono nell’avanzata. Ieri il parlamento iracheno si è di nuovo riunito nel tentativo di formare il governo. La sessione si è conclusa, come la prima volta, con un nulla di fatto: il presidente del parlamento ad interim, Mahdi Hafez, ha annunciato che “nessun tipo di accordo è stato raggiunto tra i vari blocchi politici”. Rimandato tutto a domani.
Eppure sabato le fazioni sunnite avevano fatto sapere di aver trovato l’unanimità sul nome del proprio candidato a presidente del parlamento (carica che tradizionalmente in Iraq è affidata ad un sunnita). Al presidente spetta poi nominare il futuro premier, chiamato a formare il governo. La scelta era caduta su Salim al-Juburi, che ha però rifiutato perché non tutti i partiti rappresentanti in assemblea lo avrebbero votato. “Noi eravamo pronti, con il nostro candidato, ma gli altri non hanno presentato il loro – ha accusato il parlamentare sunnita Usama al-Nujaifi, ex presidente del parlamento – Il paese sta completamente collassando e abbiamo bisogno di unità. Ogni ritardo significa più uccisioni e più rifugiati”.
Continui rinvii dal sapore di irresponsabilità, con un paese allo stremo, per un terzo occupato dalle milizie dell’Isil e per un’altra parte sotto il controllo ufficioso della regione autonoma del Kurdistan. Ieri i jihadisti hanno lanciato una nuova offensiva in comunità sunnite vicinissime alla capitale, occupando a Dhuluiyah, a 80 km da Baghdad: hanno assunto il controllo delle tre stazioni di polizia, della sede del consiglio municipale e del tribunale. Secondo testimoni, sono arrivati a bordo di 50 o 60 veicoli alle 3 di notte. La città è caduta dopo un mese di tentativi: il 14 giugno scorso l’esercito di Baghdad era riuscito a spingere indietro l’offensiva grazie al sostegno della milizia sciita Asaib Ahl al-Haq.
Dopo la presa di Dhuluiya, l’Isil ha bombardato un ponte che conduce alla vicina città sciita di Balad, presidiata dall’esercito. La marcia su Baghdad, minacciata il mese scorso dai miliziani di Al-Baghdadi, si sta realizzando, mentre il premier Maliki – sostenuto dalla coalizione Stato di Legge – non intende fare passi indietro. Non c’è bisogno di un’altra persona, insiste, esacerbando ulteriormente il settarismo interno. Secondo il partito del primo ministro, alla fine sia il presidente curdo Barzani che le fazioni sunnite accetteranno di tornare sotto l’ala di Maliki. Una speranza con poche basi: al-Juburi, candidato presidente del parlamento per i sunniti, ha firmato un documento nel quale dichiara che se vincerà la poltrona si riterrà il rappresentante delle sei province sunnite irachene, e quindi la loro volontà di vedere Maliki alla porta.
A nord, i curdi proseguono nel rafforzamento delle posizioni, con l’intenzione di garantirsi sul terreno l’indipendenza da tempo anelata. Venerdì il Kurdistan iracheno ha fatto sapere di aver preso il controllo di alcuni giacimenti petroliferi a nord, da tempo contesi con il governo di Baghdad e oggi occupati per l’assenza di forze militari governative.
E mentre il numero dei miliziani nei ranghi dell’Isil sembra aumentare costantemente, Human Rights Watch riporta del sanguinoso tentativo del governo centrale di fermare l’avanzata: dal 9 giugno, secondo un rapporto dell’organizzazione pubblicato l’11 luglio, le forze di sicurezza irachene avrebbero giustiziato almeno 255 prigionieri sunniti in sei città irachene (tra cui Mosul, Tal Afar, Baaquba, Jumarkhe, Rawa). Almeno otto di loro sarebbero stati minori di 18 anni. Un’atrocità, dice l’HRW, definibile crimine di guerra: “Giustiziare prigionieri è un’oltraggiosa violazione del diritto internazionale – ha detto Joe Stork, vice direttore di HRW in Medio Oriente – Mentre il mondo intero giustamente denuncia le atrocità dell’Isil, non dovrebbe chiudere gli occhi sugli omicidi settari da parte del governo”. Nena News