La minaccia di una guerra civile su ampia scala e’ reale e difficilmente il premier Maliki, alla ricerca di un nuovo mandato, riuscirà a sopire gli animi senza un cambiamento vero della propria politica interna.
analisi di Francesca La Bella
Roma, 20 febbraio 2014, Nena News – Il 2014 sarà anno di elezioni per l’Iraq. In un Paese che negli undici anni trascorsi dall’intervento militare che portò alla deposizione di Saddam Hussein non hai mai raggiunto una reale pacificazione nazionale, le elezioni del 30 aprile rischiano, però, di essere causa di una ulteriore recrudescenza degli scontri inter-etnici. Benché grazie ad una sentenza della Corte Suprema irachena, Nouri al-Maliki possa candidarsi per un terzo mandato di Governo, la dirigenza sciita rischia, infatti, di dover stringere alleanze o di dover concedere molto per riuscire a mantenere la propria legittimità. In questo senso si devono leggere la nuova legge elettorale che prevede una quota di seggi distribuiti in base al principio proporzionale e i tentativi di colloquio con il Governo Regionale Curdo (KRG) nonostante le tensioni dei mesi precedenti e l’annuncio della messa in attività dell’oleodotto Kirkuk-Ceyhan che dovrebbe portare direttamente in Turchia il petrolio curdo senza il controllo dell’autorità centrale irachena.
Se nel nord i curdi amministrano in maniera semi-autonoma una propria area ed ambiscono a rendersi indipendenti economicamente e politicamente dal Governo centrale, nel resto del Paese la tensione rimane alta tra arabo-sunniti e arabo-sciiti e tra gruppi di diversa provenienza ideologica all’interno delle due etnie. Attentati kamikaze, bombe e omicidi sono parte della quotidianità della popolazione irachena e, per quanto alcune aree siano più colpite da altre, la diffusione è capillare su tutto il territorio con conseguenze gravissime in termini di vite e di stabilità.
La provincia di Anbar è stata negli ultimi mesi teatro di violenti scontri tra gruppi sunniti locali, esercito iracheno e militanti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), movimento affiliato ad al-Qaeda fino ad inizio febbraio quando la compagine guidata da Ayman al-Zawahiri si è dissociata dalle politiche ISIS nell’area per questioni legate principalmente alla situazione siriana. Nella provincia a maggioranza sunnita diventata famosa durante la Guerra del Golfo per la strenua resistenza opposta all’avanzata della Coalizione dei Volenterosi, in città come Falluja e Ramadi i gruppi più radicali hanno, infatti, cercato di implementare il proprio controllo territoriale in modo da minare alle fondamenta l’integrità dello Stato iracheno. Nonostante la ferma opposizione di molti gruppi locali sunniti ad un Governo sciita considerato autoritario e poco attento ai diritti delle minoranze (si ricordi che gli sciiti sono maggioranza in Iraq), la scelta è stata quella di non appoggiare, quando non di contrastare apertamente, l’ISIS nell’area.
Parallelamente in campo sciita si assiste ad una serie di eventi che mutano radicalmente il quadro delle alleanze. Il più strenuo oppositore del Governo in carica in campo sciita, uno dei principali attori della resistenza contro l’occupazione statunitense, Moqtada al-Sadr ha annunciato il suo ritiro dalla vita politica del Paese. Secondo alcuni questo potrebbe essere dovuto al cambio nella dirigenza iraniana ed al sostegno del presidente Hassan Rowhani al primo ministro iracheno, secondo altri potrebbe essere causato dall’incompatibilità tra Maliki e Sadr e alla volontà di quest’ultimo di non collaborare con il Governo. Nonostante questo, in una conferenza stampa successiva, il leader sciita ha chiamato gli iracheni a partecipare al voto di aprile per destituire Maliki e porre fine ad un esecutivo considerato corrotto e disonesto, ponendo, così, una netta cesura alle possibilità di collaborazione presente e futura.
In questo contesto nascono e si sviluppano una galassia di movimenti che agiscono sia in maniera indipendentemente sia, ufficiosamente, sotto la guida dell’esercito. Alcuni di essi hanno carattere maggiormente militare conformandosi in squadroni della morte che colpiscono i sunniti come quelli guidati da Abu Deraa durante la guerra civile che ha insanguinato l’Iraq tra il 2004 e il 2007. Molti, in questi mesi, sono stati i corpi ritrovati, in luoghi isolati o in canaloni, bendati, con le mani legate e con evidenti segni di tortura.
(logo Asaib-ahl-alhaq)
Si ritiene che le morti possano essere imputate all’azione di Asaib Ahl al-Haq (Lega dei Giusti, AAH), gruppo sciita integralista nato da una costola delle brigate al Mahdi di Sadr durante gli scontri inter-etnici della metà degli anni 2000 e con stretti legami con le forze armate iraniane. Secondo alcune fonti il gruppo avrebbe tra i 2000 e i 3000 militanti e starebbe portando avanti attacchi mirati per vendicare le morti dovute agli attacchi dll’ISIS contro la popolazione sciita. La situazione è da considerarsi particolarmente grave in quanto AAH non è un piccolo gruppo che porta avanti un proprio piano d’attacco militare, ma è un movimento ampio e variegato con un programma politico e con un buon radicamento in territorio iracheno e non solo (ad inizio 2011 è stata aperta una sede in Libano). Per quanto Maliki abbia condannando le esecuzioni e i portavoce del gruppo abbiano negato ogni legame con il Governo, la crescita della Lega dei Giusti ha avuto dei risvolti positivi, piuttosto che destabilizzanti, per la dirigenza sciita come il significativo calo dei consensi del movimento di Sadr o la dispersione della forza d’urto dell’ISIS.
La minaccia di una guerra civile su ampia scala non è, quindi, irreale e difficilmente la dirigenza Maliki riuscirà a sopire gli animi senza un cambiamento reale e radicale della propria politica interna.