Oltre 2.400 i morti dall’inizio dell’anno. In questo clima di violenza, il 30 aprile gli iracheni sono chiamati alle urne, ma nella provincia sunnita dell’Anbar, nelle mani dei qaedisti, non si voterà. Vittoria scontata per il premier sciita Maliki
di Sonia Grieco
Roma, 10 aprile 2014, Nena News – Undici anni fa, la statua di Saddam Hussein in piazza Firdos, a Bagdad, veniva abbattuta da una folla festante, mentre le televisioni chiamate dall’esercito statunitense, che aveva iniziato l’invasione dell’Iraq il 20 marzo 2003, trasmettevano in tutto il mondo l’immagine simbolo della fine del regime Baathista dopo 24 anni al potere. Oggi il piedistallo che reggeva quella statua è tappezzato di manifesti elettorali per le politiche del 30 aprile, che si terranno in un clima di violenza e di repressione, e a cui una fetta di popolazione non potrà partecipare.
La propaganda americana prometteva pace e democrazia agli iracheni, ma ieri l’anniversario della “liberazione” di Bagdad è stato bagnato dal sangue di decine di persone, vittime di una raffica di attentati che hanno colpito soprattutto le aree sciite della capitale. 13 autobombe hanno ucciso almeno 34 persone e ne hanno ferite una cinquantina. È il quotidiano bollettino di guerra di un Paese per niente pacificato, in cui un’intera provincia, quella occidentale dell’Anbar, dallo scorso dicembre è nelle mani di milizie legate ad al Qaeda; quelle dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante che combattono in Siria (Isil) contro le truppe del presidente Bashar al Assad. In questa provincia a maggioranza sunnita che in passato ha sostenuto il regime baathista di Saddam Hussein, lo scontro con l’esercito iracheno sta facendo decine di morti e di sfollati (secondo l’Onu, almeno 400.000 persone hanno abbandonato le proprie case); un numero imprecisato di vittime che si aggiungono ai 2.400 morti negli attentati dall’inizio dell’anno.
Martedì scorso la Commissione elettorale ha annunciato che in alcune zone dell’Anbar non si voterà. “Non possiamo inviare i nostri impiegati né il materiale in aree dove sono in corso operazioni di sicurezza”, ha spiegato Muqdad Al Shuraifi, membro della Commissione, senza però specificare in quali aree. L’annuncio è arrivato il giorno dopo un cruento scontro vicino a Bagdad in cui l’esercito ha detto di avere ucciso 25 combattenti dell’Isil. Un successo militare che però non rassicura: i miliziani puntano su Bagdad, mentre si avvicinano le prime elezioni parlamentari da quando gli Stati Uniti hanno lasciato il Paese, nel 2011. Un voto su cui pesano laceranti divisioni politiche e un settarismo dilagante, denunciati da Nikolay Mladenov, inviato speciale delle Nazioni Unite per l’Iraq, e alimentate da problemi enormi: mancano i servizi essenziali, dall’acqua all’elettricità; la disoccupazione è a livelli altissimi e c’è una corruzione diffusa nell’amministrazione.
Ma l’esecutivo sciita non pare interessato a percorrere la strada del dialogo con i sunniti, per marginalizzare le frange più estremiste che fanno presa su una comunità che si sente vessata e discriminata dal governo. Il premier Nouri al Maliki, in cerca del terzo mandato consecutivo, ha la vittoria in pugno, e ha da temere più dalle fazioni sciite che dai sunniti. Il leader sciita iracheno Moqtada al-Sadr, che a sorpresa si è ritirato dalla vita politica, ha esortato Maliki a non candidarsi, accusando il suo governo di “costruire una dittatura” con l’esclusione dei candidati. Invece, nelle scorse settimane sono stati eliminati dalla corsa elettorale, grazie a una legge che prevede l’esclusione di candidati che “non godono di buona reputazione”, esponenti del partito Baath, ancora legati a Saddam Hussein, ma anche molti oppositori politici di Maliki, tra cui l’ex ministro delle finanze Rafa al-Issawi. Nena News