Le elezioni presidenziali sono alle porte e le interconnesioni tra piano interno e internazionale incideranno in maniera sostanziale sullo svolgimento della campagna elettorale
di Francesca La Bella
Roma, 7 marzo 2017, Nena News - A poco più di due mesi dalla data ufficiale per le elezioni presidenziali, il clima interno all’Iran sembra diventare sempre più teso. In vista della tornata elettorale, infatti, le numerose problematiche di politica interna ed internazionale che hanno attraversato questi ultimi mesi, diventano la materia prima della propaganda delle due opposte fazioni, allargando il solco che le divide.
Da un lato la disputa sembra giocarsi sul piano internazionale: dopo l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, le critiche alle aperture del governo moderato di Hassan Rohani hanno trovato nuovo vigore. Secondo molti analisti la contemporaneità tra la morte dell’ex presidente Hashemi Rafsanjani, possibile figura di collegamento tra vecchia e nuova dirigenza, nonché sostenitore di Rohani e della transizione verso un governo maggiormente liberale sia in ambito interno sia in politica estera, e l’irrigidimento dei rapporti con il governo statunitense, avrebbe, infatti, ampliato, almeno parzialmente, la base di consenso dell’ala conservatrice.
Dall’altro, il piano interno e in particolare l’aspetto economico, rimangono centrali per le future scelte dell’elettorato. Secondo quanto riportato dal Centro di statistica dell’Iran tra la primavera del 2015 e quella del 2016, avrebbero perso il lavoro 729mila persone con un incremento del tasso di disoccupazione dello 0,4%. Nonostante le statistiche ufficiali per il periodo successivo non siano ancora disponibili, i dati sarebbero ulteriormente in aumento e questo troverebbe conferma nelle numerose proteste registrate in questi mesi.
Pur non considerando situazioni particolari come quella della regione del Khuzestan dove le manifestazioni contro l’inquinamento e i deficit dei servizi idrici ed elettrici si sono intersecate indissolubilmente con più ampie rivendicazioni della minoranza presente nell’area, molti sono i soggetti coinvolti: insegnanti, minatori, operai, impiegati delle telecomunicazioni.
Alla luce di questo contesto, non stupisce, dunque, che la contesa assuma toni sempre più accesi. Le accuse di sottrazione di fondi per finanziare la campagna elettorale dei conservatori come quelle insinuate da Rohani nel riprendere la questione delle vendite illecite dell’imprenditore, vicino all’ex presidente Mahmud Ahmadinejad, Babak Zanjani, arrestato nel 2013 e condannato a morte nel 2016 con l’accusa di corruzione sono, ad esempio, state rispedite al mittente dal capo della Magistratura, Sadegh Larijani. Fratello dell’attuale portavoce del parlamento iraniano Ali, il clerico ha, infatti, a sua volta accusato l’attuale presidente di aver beneficiato dei circa 3 miliardi di dollari per la propria campagna elettorale.
Particolarmente significative sono, parallelamente, le dichiarazioni di Rohani in merito alle possibili interferenze di diversi soggetti ed organi statali nella determinazione del voto. Il presidente ha, infatti, sottolineato con grande enfasi che le responsabilità di garanzia della trasparenza del procedimento elettorale sono competenza del Ministero dell’Interno e dei governatori regionali che dovranno impegnarsi per tutelare adeguatamente la fase pre-elettorale e le operazioni di voto.
In merito al ruolo del Consiglio dei Guardiani, Rohani, in contrasto con la posizione della guida del Consiglio, l’Ayatollah Ahmad Jannati, ha, inoltre, tenuto a specificare che l’organo ricopre un ruolo di supervisione e non di gestione, ambito di intervento del solo governo. Il finale richiamo alla necessità di impedire che alcuni corpi governativi intervengano indebitamente nel processo elettorale con l’uso di fondi pubblici o forze militari mostra con chiarezza la criticità del momento.
Un ultimo aspetto da tenere in considerazione è il ruolo che Ahmadinejad avrà in queste elezioni. Pur avendo formalmente rinunciato alla candidatura fin da settembre dello scorso anno dopo l’invito in tal senso dell’Ayatollah Ali Khamenei, l’ex presidente iraniano sembra voler essere una presenza visibile in questa campagna elettorale.
Gli indizi di questo rinnovato attivismo sono numerosi, ma in particolare risulta significativa la lettera scritta a Trump. Nella lunga dissertazione, Ahmadinejad affronta molti aspetti: i problemi interni agli Stati Uniti, la presenza statunitense in Medio Oriente, l’importanza dell’immigrazione nella costruzione della nazione statunitense, il ruolo degli iraniani in questo processo.
Ciò che più colpisce è la scelta di parlare “da essere umano a essere umano” e non in termini politici e l’invito ad abbandonare il Medio Oriente. Ahmadinejad scrive: “Non è meglio fermare la propaganda di guerra e non interferire militarmente in altre regioni del mondo, al fine di creare un clima di comprensione internazionale e porre fine alla corsa agli armamenti, la guerra e l’uccisione di persone? In questo modo, una notevole quantità di risorse verranno salvate per sviluppare il benessere delle persone degli Stati Uniti, per eliminare la povertà e la disoccupazione. Non è questo il modo migliore per cambiare atteggiamento delle nazioni del mondo verso il governo degli Stati Uniti?”.
Quest’ultimo passaggio mostra come la lettera parli sia a Trump sia all’Iran e quanto esista una linea, per quanto ancora non resa palese, che l’ex presidente iraniano potrebbe sostenere in questa fase elettorale. Nena News
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra