Domani il popolo iraniano sarà chiamato ad eleggere il proprio presidente. In questo contesto la forbice economia, le mancate redistribuzioni e l’apertura al mondo ancora incompleta diventano fattore centrale del dibattito
di Francesca La Bella
Roma, 18 maggio 2017, Nena News - Le elezioni iraniane sono ormai alle porte. Domani, 19 maggio, il popolo iraniano sarà chiamato ad eleggere il proprio presidente in una tornata elettorale dai contorni ancora poco nitidi. Secondo alcuni l’uscente Hassan Rouhani sarebbe il favorito, ma molte variabili sono in gioco e nessuna previsione può essere considerata totalmente attendibile.
Gli argomenti di dibattito sono evidentemente numerosi, dalla guerra in Siria all’accordo sul nucleare, dalla politica estera in senso ampio alla gestione della sicurezza interna, ma ciò che potrebbe risultare il fattore determinante in queste elezioni è l’aspetto economico. Benchè l’economia iraniana abbia registrato un’inevitabile miglioramento dopo la fine delle sanzioni, infatti, le problematiche sociali connesse con una diffusa disoccupazione e con la mancanza di un efficace welfare state persistono.
Nonostante l’adesione dell’Iran al congelamento delle estrazioni petrolifere in ambito Opec potrebbe pesare sulla crescita di quest’anno, l’aumento dei prezzi connesso con il blocco e l’iniziale esonero a causa del lungo periodo di sanzioni ha portato a raggiungere un tasso di crescita annuale del 7,4% a fine 2016. Il rilancio del settore petrolifero, però, non appare di per sé sufficiente per permettere il superamento delle principali fragilità del paese: corruzione, debolezza strutturale del sistema bancario, mancanza di investimenti nel settore lavoro, soprattutto per quanto riguarda giovani e donne.
In questo senso il presidente Rouhani viene accusato da suoi oppositori di non essere riuscito a capitalizzare i benefici dell’accordo nucleare, svendendo di fatto l’economia iraniana al capitale straniero senza un reale effetto positivo per la popolazione. In questo senso, le politiche economiche dell’attuale dirigenza vengono contestate in maniera bipartisan sia da chi vorrebbe una maggiore chiusura rispetto agli investimenti stranieri sia da chi ambisce ad un’apertura liberale più marcata.
Per quanto molto spesso i dati ufficiali sulla crescita vengano interpretati in maniera differente dai rappresentanti dei diversi partiti ed utilizzati per dimostrare la validità della propria proposta, alcuni aspetti sembrano, di per sé, innegabili. Secondo l’ultimo report del Fondo Monetario Internazionale, ad esempio, dopo un’iniziale ripresa, Teheran continuerebbe a mantenere indici di crescita positivi, per quanto limitati dalla mancanza di fiducia degli investitori esteri nella stabilità dell’economia del paese.
Parallelamente, però, nella popolazione sembra essere presente un diffuso malcontento legato al mancato reinvestimento dei proventi di questa crescita a favore dei settori sociali più deboli. Numerosi sono, infatti, i focolai di protesta derivanti da questioni strettamente legate ad aspetti economici. Dai curdi iraniani che imputano al governo di non aver mai investito nelle aree a maggioranza curda nel nord ovest del paese ai minatori che nel Golestan hanno contestato Rouhani per la mancanza di investimenti nella sicurezza e per i ritardi nei pagamenti degli stipendi, sembra esistere un fronte di scontento sempre più ampio.
Dal punto di vista dell’opposizione, d’altra parte, sembra in atto il tentativo di capitalizzare questo disagio per convertirlo in voti. Ebrahim Raisi, principale avversario di Rouhani alla presidenza, avrebbe annunciato l’intenzione di aumentare i sussidi e creare 1,5 milioni di posti di lavoro mentre Mohammad Bagher Ghalibaf, sindaco conservatore di Teheran, prima di ritirare la sua candidatura scegliendo di appoggiare lo stesso Raisi, si era spinto a promettere fino a 5 milioni di nuovi posti di lavoro e il raddoppio dei trasferimenti di reddito per le fasce deboli.
Per quanto l’Iran non possa essere considerato un paese “povero” in senso tradizionale, la forbice economica tra le diverse classi sociali e la quasi totale mancanza di politiche redistributive configurano una situazione in cui l’economia diventa elemento centrale del dibattito politico in generale e di quello elettorale nella fase contingente. Nena News
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra