Secondo il fumettista brasiliano, noto per le sue vignette sul Medio Oriente e sulla causa palestinese, esprimere liberamente le proprie idee «può umiliare e deridere i musulmani, ma quando si tratta di criticare la politica dello stato d’Israele non serve. Anzi, lì si chiama antisemitismo». «La satira – aggiunge – è un’arma carica che dipende da chi preme il grilletto»
di Roberto Prinzi
Roma, 4 dicembre 2017, Nena News – «I nostri nemici sono tre: capitalismo, colonialismo e imperialismo. Viviamo in paesi diversi, ma abbiamo uguali problemi». Riassume così a Nena News la situazione internazionale il fumettista brasiliano Carlos Latuff. Latuff, classe ’68, si definisce un «disegnatore politico internazionalista amatoriale». Eppure il suo lavoro è tutto fuorché amatoriale: le sue vignette, caratterizzate dai colori accesi e dai forti contrasti, gli hanno creato non pochi problemi: dal 2015 il governo turco ha bloccato l’accesso al suo blog in Turchia a causa dei suoi duri attacchi contro il presidente “Sultano” Erdogan. E il suo sostegno alla causa palestinese, iniziato nel 1998 quando ha visitato i Territori occupati palestinesi, gli è valso l’accusa di anti-semitismo da parte del centro Simon Wiesenthal di Los Angeles. Proprio la Palestina è al centro della sua attività artistica: «Ci sono solo tre differenze tra un campo profughi palestinese e le favelas – ci racconta sorridendo – nel primo caso gli uomini armati non sono trafficanti di droga, le donne sono velate e le targhe e le insegne sono in arabo. Per il resto parliamo di luoghi uguali». Ma se i nemici dell’umanità sono gli stessi, sottolinea Latuff, allora è necessario trovare una «risposta comune». Lo abbiamo incontrato ad ottobre a Napoli a margine di una mostra e di un incontro organizzati dall’Ex Asilo Filangieri.
Qual è il potere del fumetto politico?
Il potere della vignetta è quello della sintesi: consente di spiegare in maniera semplice una questione difficile da comprendere: un tema politico, che richiederebbe tante righe, può essere racchiuso in un’unica immagine. Alla base però del lavoro c’è una cosa chiamata “principi”: puoi metterli da parte e disegnare qualsiasi cosa pur di essere pagato oppure li segui come me. La differenza non è se sei scrittore o qualcun altro, ma è sapere fin dove ti spingi per un’opinione, fin dove sei disposto a rinunciare ad una tua idea per un lavoro.
Hai mai avuto la percezione di riuscire a scuotere le coscienze con il tuo lavoro?
A questa domanda non posso rispondere. Lo può fare chi vede i miei disegni, non io. Ho incontrato persone che mi hanno detto: “Latuff, questo disegno mi ha toccato molto”, “Mi hai commosso” ma non posso sapere di più. Spero di sì, è la mia speranza, lavoro per questo obiettivo.
Le vignette che fa la classe privilegiata sull’“altro”, la classe degli oppressi, spesso attraverso stereotipi coloniali, è ancora satira?
È ancora satira. Non c’è satira giusta o satira sbagliata, satira di destra o di sinistra. È come un’arma carica. Dipende da chi preme il grilletto. Il problema non è l’arma in sé, ma come la usi.
Ogni attacco quindi è una satira?”
Sì! Si possono fare battute razziste, omofobe, maschiliste: sono battute. Il problema non è sapere se sia satira o meno, ma sapere cosa si vuole ottenere: l’obiettivo è umiliare l’immigrato, il nero, il gay, la donna? È umiliare il potere? È umiliare la tortura, la polizia, lo stato? Hai un’arma: puoi rivolgerla contro un fascista o contro un bambino, decidi tu cosa farne.
Dopo i fatti di Charlie Hebdo del gennaio 2015, si disse nel dibattito mainstream che la satira non ha limiti e che sono i musulmani “incapaci” di fare ironia sulla loro religione a differenza di “noi” con la nostra.
Su Charlie Hebdo ho sempre detto chiaramente di essere contrario all’uccisione di persone colpevoli d’aver pensato, di essersi espresse scrivendo, disegnando o girando dei film. Però, a differenza di tanti altri, non ho detto su Facebook “Je suis Charlie”: io non sono affatto Charlie! Non lo difendo e non se l’aspettino da me. Nel momento in cui fai satira contro i musulmani, stai alimentando, e stai seguendo in realtà, l’agenda politica dell’estrema destra europea che li ha scelti come nemici. In passato erano i comunisti, ora sono loro. L’artista deve avere la responsabilità di sapere come il suo lavoro sarà utilizzato. Bisogna conoscere il contesto storico e sociale: la satira non può esser fatta in maniera irresponsabile come penso faccia Charlie Hebdo.
Si disse allora che era in ballo la libertà di espressione.
Io sono a favore della libertà di espressione, è chiaro. Ma questo argomento è scivoloso: in Europa la libertà d’espressione non si applica a Israele: il movimento di BDS [per il boicottaggio dello stato ebraico] è stato attaccato più volte in vari paesi d’Europa anche a livello giudiziario. Quindi è libertà d’espressione quella che può umiliare e deridere i musulmani, ma quando si tratta di criticare la politica dello stato d’Israele non serve. Anzi, lì si chiama antisemitismo. La libertà d’espressione, come i diritti umani, è facilmente manipolabile per fini politici. Per esempio, si parla molto di violazione dei diritti umani in Siria perché Bashar al Assad è un dittatore, ma gli stessi organismi tacciono rispetto a quanto accade in Arabia Saudita e in Palestina. È un argomento ipocrita questo della libertà d’espressione. Applichiamolo allora anche a chi critica lo stato d’Israele.
Non credi che nel clima emotivo del post Charlie Hebdo il mondo della satira abbia abdicato al suo ruolo di spina nel fianco del potere, e, abbracciando la versione ufficiale delle autorità, abbia tradito la sua regione d’essere?
Dopo quell’attacco i vignettisti hanno preferito non fare analisi politica, io forse sono stato l’unico a farla. Il clima allora era di disegni carini, funebri, io ho criticato, principalmente chi aveva attaccato Charlie Hebdo. C’è una mia vignetta in cui chi spara a quella redazione sta colpendo in realtà una moschea. La verità è che la maggioranza degli artisti, dei vignettisti politici, lavorano con temi politici senza una formazione, senza una conoscenza politica. O, se ce l’hanno, è di destra. Non esiste artista neutrale, è impossibile affermare che non si è né di destra né di sinistra. La questione è: ti schieri o no?
Cosa hanno rappresentato per te le rivolte arabe del 2011?
Inizialmente mi sembravano un soffio rivoluzionario, soprattutto in Egitto. Quando ho visto migliaia di persone in piazza scendere in strada per chiedere la fine della dittatura, ispirate da quel che era successo in Tunisia, mi sono detto: “Caspita! Non ho mai visto una cosa del genere nella storia!”. Poi dall’Egitto si è passati alla Siria, al Bahrein e alla Libia. Qui devo fare un mea culpa perché ho sbagliato: ho fatto vignette in sostegno della primavera araba libica criticando Gheddafi. C’è voluto un po’ di tempo perché capissi che quel che stava accadendo lì fosse simile a quello che si tentava di fare in Siria: c’è un regime autoritario, la popolazione si ribella, lo stato reprime ed ecco che arrivano gli Stati Uniti a destabilizzare e abbattere il governo. Così è successo in Libia con la Nato. In Siria ero partito inizialmente con vignette dello stesso stile, ma poi ho capito che ad appoggiare i “ribelli moderati” era Hillary Clinton, allora tutto mi è apparso chiaro. L’Egitto è un’altra storia. Lì è stato davvero il popolo a scendere in strada per deporre Mubarak. Ora però è tornato a essere una dittatura militare. Ma dove sono gli americani che si preoccupano tanto di democrazia? Dove sono Hillary Clinton, Obama, Trump? E lo stesso accade in Bahrein. Dove sono? C’è chi sostiene che le Primavere Arabe siano state in realtà tutte una messa in scena. Credo invece che siano state all’inizio movimenti popolari nati in paesi governati da dittature ma che poi sono state viste da parte delle potenze mondiali come opportunità per intervenire. La Siria è il migliore esempio a riguardo.
Hai detto che ora non è più questione di “socialismo e barbarie”, ma di “sopravvivere o morire”. La sinistra è debole e frammentata, mentre l’estrema destra avanza giocando sulle paure della gente. Come rovesciare questo trend?
Nella maggior parte dei casi la sinistra a livello internazionale ha rinunciato a portare avanti un discorso rivoluzionario accontentandosi di uno riformista. Dalla caduta del muro di Berlino non è più interessata al cambiamento, alla trasformazione: le sta bene amministrare il capitalismo. Fin quando seguirà questo percorso, continuerà a fallire: oggi si appoggia più alle alleanze con partiti politici che alle masse. Nel momento in cui la sinistra fa parte di un governo – e molte volte entra a far parte di governi criticati in passato – comincia a contaminarsi: beghe varie, corruzione, la gente inizia a non vedere più la differenza tra i neoliberali e loro perché entrambe le parti sono coinvolte in scandali di corruzione. E chi si presenta come soluzione? L’estrema destra. Il loro discorso morale sta guadagnando spazio perché la sinistra si sta sporcando le mani, perché ha rinunciato a prendere il potere. Non lo vuole perché ambisce al governo e, per averlo, sa che deve stare alle regole del gioco.
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir