Dialogo con Fawzi Ismail, rifugiato palestinese e presidente dell’Associazione Sardegna-Palestina: “I palestinesi speravano di superare l’attuale stallo politico e di sfidare l’occupazione. La maggior parte di loro ha chiaro cosa vuole: liberazione e diritto al ritorno. Ma questa leadership non ne è capace”
di Chiara Cruciati
Roma, 5 maggio 2021, Nena News – La scorsa settimana il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) Abu Mazen ha sospeso le elezioni legislative e presidenziali a data da destinarsi, generando rabbia e frustrazione tra il popolo palestinese. Ne abbiamo parlato con Fawzi Ismail, rifugiato palestinese, presidente dell’associazione Sardegna-Palestina e presidente dell’Unione delle comunità e delle organizzazioni palestinesi in Europa
Quali pensi siano le ragioni dietro il rinvio?
Già da metà marzo si prevedeva la sospensione. Abu Mazen ha citato la mancata risposta israeliana sul diritto di voto per i palestinesi di Gerusalemme. Ma è una scusa. I palestinesi avrebbero potuto votare in tanti modi diversi ma nessuna alternativa è stata presa in considerazione. È vero che non c’è stata una pressione da parte della comunità internazionale su Israele, ma il motivo è che non ne aveva alcun interesse: la Ue di facciata parla della necessità di votare, ma di fatto non vuole perché non sa chi vincerà. Ricordiamoci cosa accadde quando 16 anni fa vinse Hamas: l’Europa – come Ue e come singoli paesi – non ha riconosciuto il risultato. I palestinesi possono votare solo se i risultati piacciono all’esterno.
In ogni caso le vere ragioni dietro la sospensione sono altre. Per capirle facciamo un passo indietro: queste elezioni erano state indette con un decreto presidenziale dell’Anp per legittimare le istituzioni palestinesi, oltre a essere una richiesta giunta da diverse parti, dagli Usa alla Ue e da alcuni paesi arabi filo-americani. Diverse organizzazioni politiche palestinesi hanno aderito per superare lo stallo politico e tantissimi palestinesi si sono registrati per votare: la prova di una necessità forte di cambiamento nei Territori occupati. Una necessità che, però, si sarebbe tradotta nella sconfitta di chi finora ha gestito gli Accordi di Oslo, ovvero Fatah e l’Anp. Per questo le elezioni sono state sospese.
La seconda ragione della sospensione è interna al partito di Abu Mazen, Fatah: si sono presentate tre liste vicine a Fatah o di leader di Fatah che si sono candidati come indipendenti. Il successo elettorale di Abu Mazen non era affatto assicurato. Meglio, per loro, non votare. Se si pensa poi che come sono state indette con decreto presidenziale, allo stesso modo sono state rinviate, si capisce bene come manchino organi decisionali dell’Anp che siano indipendenti dalle volontà politiche.
Andare al voto avrebbe influito in qualche modo sull’attuale stallo politico palestinese? E che effetti avrebbe avuto nei confronti dell’occupazione militare israeliana?
I palestinesi della Cisgiordania e di Gaza erano entusiasti all’idea di votare, nella speranza di poter cambiare l’assetto politico attuale: a Gaza si sperava nella fine dell’embargo e in una maggiore libertà di movimento, in Cisgiordania di cambiare una classe politica corrotta e o status quo attuale anche nei confronti dell’occupazione militare. Si guardava alle elezioni non solo come un modo di trasformare la politica palestinese, ma anche come strumento di lotta all’occupazione militare israeliana, tanto più facendo votare anche Gerusalemme in aperta sfida a Israele, un modo per rendere responsabile anche la comunità internazionale. Non va poi dimenticato Israele, uno dei giocatori principali in questo senso, visto che nei Territori la presenza di un’occupazione militare impedisce di avere elezioni libere e indipendenti. La stessa presenza della cooperazione alla sicurezza tra Anp e Israele mina la possibilità di avere elezioni democratiche. Questo è molto demoralizzante per i palestinesi.
Come è stata vissuta questa decisione dai palestinesi, sia nella Palestina storica che nella diaspora?
Il 22 maggio dovevano esserci le elezioni del Consiglio legislativo dell’Anp, l’organo creato con gli Accordi di Oslo; il 31 luglio le presidenziali dell’Anp; e infine ci sarebbe stato il rinnovo del Consiglio nazionale palestinese dell’Olp che dovrebbe rappresentare tutti i palestinesi sia in diaspora che in Palestina, al contrario del Consiglio legislativo che rappresenta solo i Territori occupati. Se nei Territori i palestinesi c’era entusiasmo, nella diaspora i palestinesi erano quasi indifferenti anche se vogliono modificare questa classe politica inefficiente e incapace di portare avanti le aspirazioni del popolo palestinese. Non erano comunque parte attiva, non potendo votare a nessuna delle elezioni (il Consiglio nazionale sarebbe stato formato da un accordo tra partiti). La nostra proposta, dalla diaspora, di far votare tutti i palestinesi, nei campi profughi, in Europa, in America, non è stata accolta. La delusione oggi è grande nei Territori: Abu Mazen ha fatto un regalo all’occupazione israeliana annullando le elezioni, soprattutto sapendo che Israele è in una fase molto critica visto che non si riesce a formare un governo dopo quattro elezioni in due anni. Abu Mazen ha dato una mano a Netanyahu.
Tra i temi emersi in questi mesi, c’è stata la divisione della sinistra in quattro diverse liste. Qual è l’attuale condizione dei partiti della sinistra palestinese?
Purtroppo la sinistra palestinese non è stata mai unita. Ci sono stati diversi tentativi in passato di formare coalizioni o per lo meno di cooperare, ma di fatto ci sono essenziali differenze politiche e ideologiche. Non c’è una visione unica della situazione politica attuale e di lotta tra i partiti della sinistra. Un esempio: mentre il Fronte popolare chiedeva un programma politico per formare la coalizione, altri volevano solo unire i candidati in una lista, partiti molto vicini alla linea di Abu Mazen e difficilmente definibili di sinistra. Altro esempio: la decisione di rinviare il voto è stata criticata dal Fronte popolare e dal Fronte democratico, ma non dal Partito del Popolo, da Fida e da Iniziativa Nazionale Palestinese che hanno accettato le ragioni del presidente di sospenderle. Ci sono vedute diverse e diverse linee politiche. Tutti i partiti di sinistra sono in crisi come lo è l’intera politica palestinese: se la sinistra fosse viva e attiva, non saremmo in queste condizioni. Mentre la gente lotta e continua a dimostrare coraggio e determinazione contro l’occupazione, non c’è una risposta politica puntuale a questa spinta da parte dei partiti politici, soprattutto di sinistra.
L’Anp a differenza dell’Olp rappresenta solo una piccola porzione di palestinesi, quelli che vivono nei Territori occupati. In molti chiedono un ritorno forte dell’Olp, cosa ne pensi?
Dagli Accordi di Oslo del 1993 in modo subdolo si è cercato di affossare l’Olp, piano piano, per sostituirla con l’Anp. Un fatto molto grave. Oggi l’Olp è stata messa da parte. Per 15-20 anni non c’è stata una seduta del Consiglio nazionale palestinese, nonostante sia riconosciuto da tutti i palestinesi come il loro unico rappresentante ovunque si trovino, in diaspora o nella Palestina storica occupata. L’Anp rappresenta solo i Territori occupati e non è una svista: Israele non riconosce il diritto al ritorno e dunque non riconosce i palestinesi in diaspora. Inoltre, a livello di comunità internazionale, oggi si parla di Stato palestinese e l’Olp non viene più nominata. Siamo di fronte a un dilemma: una parte di palestinesi parla di costruire uno Stato sotto occupazione, cosa abbastanza aberrante, ma la maggioranza dei palestinesi si sente ancora nella fase di liberazione nazionale.
Questi due concetti della lotta palestinese non sono conciliabili: da una parte la liberazione e il diritto al ritorno, dall’altra la creazione di uno Stato fasullo che coopera con l’occupazione e che la protegge. Oslo è stato un accordo completamente a favore di Israele. Un aspetto straordinario della questione è che un popolo occupato deve garantite la sicurezza del popolo occupante. Penso non sia mai accaduto nella storia. Sono però abbastanza ottimista: i palestinesi non hanno mai smesso di lottare per i propri diritti, lo dimostrano le ultime settimane e gli ultimi mesi in cui stiamo assistendo alla ribellione dei palestinesi nei Territori. La stragrande maggioranza dei palestinesi in diaspora, inoltre, continua a rivendicare il proprio diritto al ritorno, un risultato fattibile con una leadership politica capace. Nena News