Da Oslo al progetto di Sharon fino al piano Dayton: la storia della sicurezza palestinese. Le forze di sicurezza dell’Ano, sostiene Tariq Dana, non rappresentano il popolo che dovrebbero proteggere. La palese cooperazione con l’occupazione israeliana, aggiunge l’autore, ha dimostrato di essere distruttiva degli interessi nazionali.
di Tariq Dana – Jadaliyya
Betlemme, 7 luglio 2014, Nena News – Se il famigerato discorso di Mahmoud Abbas alla conferenza dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica ha provocato una vasta condanna tra i palestinesi, ha anche rinnovato i dubbi sul crescente e sospettoso ruolo del settore della sicurezza dell’Autorità Palestinese. Abbas ha difeso il coordinamento alla sicurezza con Israele in qualsiasi circostanza, affermando che tale cooperazione è un “interesse nazionale palestinese”. In passato lo aveva già definito “sacro”.
Le critiche al coordinamento alla sicurezza tra ANP e Israele non è nuovo. Ma gli eventi recenti dimostrano l’enormità del doppio standard: caldi rapporti con la sicurezza israeliana combinati con il pugno di ferro contro la propria gente. Come risultato, sono tante le voci – uomini e donne, dissidenti politici e riformatori, ex prigionieri e militanti, attivisti e giornalisti – che hanno avanzato critiche senza precedenti e condannato l’ANP e le sue forze di sicurezza. Infatti, larga parte del popolo palestinese vede oggi il settore della sicurezza dell’Autorità come un’estensione dell’occupazione. In risposta alle azioni dell’ANP, le critiche si sono trasformate in accuse di tradimento.
La recente operazione militare israeliana – la più ampia dalla Seconda Intifada – era parte delle ricerche dei tre coloni scomparsi vicino Hebron. Accanto a questo, si è intensificata la repressione dei manifestanti palestinesi da parte dell’ANP. C’è stato un episodio scioccante a Hebron: una marcia organizzata in solidarietà con i prigionieri in sciopero della fame e contro le incursioni dell’esercito israeliano è terminata con le forze di sicurezza palestinesi che disperdevano violentemente i manifestanti e arrestavano giornalisti. Ci sono state altre scene oltraggiose a Ramallah dove furiosi lanciatori di pietre sono stati aggrediti prima dai soldati israeliani e poi dalla polizia palestinese che gli ha sparato contro. Tali eventi non sono coincidenze. In mezzo a numerose simili circostanze, mostrano una maggiore sofisticata coordinazione alla sicurezza tra le due parti.
Come conseguenza, i social media sono stati riempiti da commenti arrabbiati. Uno in particolare ha catturato la mia attenzione: “La sicurezza di Israele e quella palestinese si scambiano i turni di lavoro”. Un’ironia dolorosa, ma diretta. Rende chiara la necessità di porre il settore della sicurezza palestinese sotto analisi sistematica e rivelarne le attuali funzioni e il ruolo.
Le radici della riforma della sicurezza palestinese
Nel 2003, l’ex premier israeliano Ariel Sharon ha fatto un discorso prima della Conferenza di Herziliya – il più importante ritrovo annuale strategico israeliano – nel quale chiedeva che l’ANP adottasse una serie di riforme in tre fasi come precondizione per ogni futuro negoziato. Molti osservatori considerarono i contenuti di quel discorso come il programma elettorale di Sharon. Se le richieste includevano riforme finanziarie, istituzionali, dei media e anche dell’educazione, la priorità era la ristrutturazione del settore alla sicurezza palestinese. Secondo la prospettiva di Sharon, tale riforma dove fondarsi su tre elementi: 1. lo smantellamento di tutti i corpi esistenti e fedeli ad Arafat, che Sharon descrisse come “terroristi” perché impegnati nella lotta armata durante la Seconda Intifada; 2. la nomina di un nuovo ministro dell’Interno che supervisionasse la dissoluzione e la messa al bando delle ali militari palestinesi; 3. l’immediato rinnovo del coordinamento alla sicurezza palestinese-israeliano.
Sharon affermò che “la riforma della sicurezza doveva accompagnare un sincero e reale sforzo di fermare il terrorismo e applicare ‘la catena delle misure preventive’ previste dagli americani: lavoro di intelligence, arresto, interrogatorio, prosecuzione e punizione”. Alla fine della Seconda Intifada nel 2005, la visione di Sharon della riforma palestinese cominciò ad emergere ma la sua malattia, il lungo coma e infine la sua morte gli impedirono di celebrare la materializzazione del suo piano.
L’ANP e la riforma della sicurezza
La riforma della sicurezza è stata una priorità dell’agenda elettorale di Abbas e, fin dall’assunzione dell’incarico nel 2005, la sicurezza è stata una colonna della sua presidenza. L’intenzione era trasformare il modello di Arafat – che a volte aveva resistito forzatamente all’esercito israeliano – in una sicurezza strettamente orientata all’interno, capace di rafforzare la stabilità e fornire protezione all’élite dell’ANP. Questi due obiettivi sarebbero stati possibili solo attraverso un effettivo coordinamento con le forze israeliane.
La riforma del settore della sicurezza è stata radicale e complessa. Ha riguardato aree che andavano dalla dottrina, la disciplina e l’equipaggiamento alla crescente cooperazione con Israele e altri servizi regionali e internazionali di intelligence. Per Abbas, il primo passo è stata l’esclusione del personale della sicurezza considerato problematico o inapplicabile al suo progetto. Per questo ha offerto loro un accordo pensionistico vantaggioso con un insieme di vantaggi finanziari e altri privilegi. Sotto lo slogan “sicurezza e ordine”, ha iniziato a disarmare il frammentato movimento di resistenza e anche qualche gang locale comparsa alla fine dell’Intifada. Questi gruppi erano per lo più composti da ex militanti che sfruttarono l’idea della resistenza per portare avanti attività criminali. Vennero invitati a unirsi formalmente alle nuove forze di sicurezza dell’ANP, il cui obiettivo finale era di mantenere il totale monopolio sulla violenza e di prevenire ogni potenziale minaccia al nuovo ordine post Arafat appena orchestrato.
Con i consigli di esperti americani e europei, Abbas ha introdotto nuove regole per organizzare meglio la struttura interna della sicurezza e ridurre i livello di rivalità tra le varie sezioni. Al fine di assicurarsi fedeltà e migliorare le performance, ha cominciato con una schema di promozioni basato sui risultati. Inoltre, in contrasto con le politiche di Arafat, che aveva deliberatamente incoraggiato un sostanziale livello di ambiguità nei ruoli e le funzioni dei molteplici settori della sicurezza causando spesso tensioni tra loro, Abbas ha tentato di dividere le forze di sicurezza in tre principali categorie secondo quanto previsto dalla road map. Primo, la sicurezza interna sotto il controllo del Ministero dell’Interno (polizia civile, sicurezza preventiva e difesa civile); secondo, la sicurezza nazionale (forze di sicurezza nazionale, intelligence militare, polizia navale, ufficio militare e sicurezza presidenziale); e terzo, i servizi segreti generali.
Quando Abbas ha cominciato la sua riforma nel 2005, americani e europei hanno subito sostenuto i suoi sforzi. L’amministrazione Bush ha all’inizio affidato al generale William Ward il compito di seguire la riforma della sicurezza e di addestrare e preparare le forze di sicurezza a affrontare il vuoto lasciato dal ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza nel 2005. La UE si è focalizzata nel supervisionare e addestrare la polizia palestinese e il settore della giustizia. A tale scopo, ha creato un ufficio di coordinamento in Cisgiordania, inizialmente chiamato EUCOPPS e poi ribattezzato EUPOL COPPS.
Passaggio dottrinale
L’impressionante vittoria di Hamas alle elezioni legislative del 2006 ha portato allo stop degli aiuti internazionali all’ANP e al suo settore della sicurezza. Ma la presa da parte di Hamas della Striscia di Gaza nel 2007 ha fatto suonare i campanelli di allarme a Tel Aviv, Washington e altre capitali occidentali che hanno subito dimostrato sostegno all’ANP di Ramallah. La sicurezza era la più importante destinazione del supporto finanziario e tecnico occidentale. Stavolta, tuttavia, la riforma della sicurezza ha subito una massiccia ristrutturazione, volta in particolare a rifondare le basi dottrinali della sicurezza palestinese.
Due principali fattori hanno giocato un ruolo chiave nell’avanzata di tale cambiamento. Il primo è legato all’avvento del “fayyadismo” – riferito all’ex premier Salam Fayyad nel 2007 – la cui agenda liberale e di costruzione dello Stato ha sottinteso l’autoritarismo e, per questo, una cruciale dimensione della sicurezza. La sicurezza di Fayyad è stata evidente in ogni rapporto pubblicato dai governi a seguire, che ripetutamente affermavano il ruolo forte della sicurezza così come del rafforzamento del “principio di legalità” per creare un buon livello di stabilità che garantisse al business privato e agli investimenti di fiorire. Il contributo di Fayyad alla riforma della sicurezza ha prodotto un settore altamente privilegiato, consumando oltre il 31% del budget annuale dell’ANP a scapito di altri settori vitali come la salute, l’educazione e l’agricoltura.
Nel 2007 e nel 2008, Fayyad era dietro due campagne che avevano come target i gruppi armati e i membri di Hamas a Nablus e Jenin, a Nord della Cisgiordania. Campagne simili sono state portate avanti, sempre a Jenin, nel 2011 e nel 2012. Erano coordinate congiuntamente dal Governatorato di Jenin e dalla sicurezza esterna al fine di fare di Jenin “una città modello per la Cisgiordania”.
Tali campagne sarebbero state impossibili senza il consenso e la coordinazione della sicurezza israeliana, che ha qualitativamente e quantitativamente superato i livelli degli anni Novanta. Secondo un rapporto israeliano, esistono ora meccanismi multipli per il coordinamento tra le due parti, inclusi un aumento consistente del numero delle riunioni e i meeting regolari con funzionari di alto livello. Nel 2009, le operazioni coordinate sono state 1.297, con un aumento del 72% dal 2008, mentre nel 2011 c’è stato un ulteriore aumento del 5% rispetto al 2010.
Il secondo fattore è legato agli investimenti statunitensi nella struttura della sicurezza dell’ANP, in particolare attraverso la Dottrina Dayton. Il generale Keith Dayton, coordinatore alla sicurezza per Israele e ANP degli Stati Uniti, ha giocato un ruolo fondamentale nel rimodellare la struttura e la forma mentale delle forze di sicurezza dell’ANP. I suoi sforzi hanno portato alla formazione di un “nuovo uomo palestinese”, un ufficiale della sicurezza professionalmente addestrato e disciplinato la cui funzione è di seguire ciecamente gli ordini senza tener conto delle conseguenze sui palestinesi e di essere pienamente fedele al nuovo paradigma della sicurezza di USA e Israele.
Per tale motivo, secondo il Government Accountability Office statunitense, tra il 2007 e il 2010 il Dipartimento di Stato americano ha investito 99 milioni di dollari nella ricostruzione dell’infrastruttura della sicurezza dell’ANP e nel rafforzamento delle capacità in Cisgiordania e altri 392 milioni di dollari per addestrare e equipaggiare le forze di sicurezza. La missione di Dayton prevedeva anche il reclutamento, l’addestramento, il finanziamento e l’equipaggiamento delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese, oltre alla creazione dei cosiddetti “battaglioni speciali” delle Forze di Sicurezza Nazionali (NSF). Secondo il Dipartimento di Stato, al 2012, la missione USA ha addestrato e equipaggiato nove battaglioni dell’NSF e due battaglioni di guardie del presidente, per un totale di oltre 5.500 ufficiali. Tali forze sono state addestrate nel paese e fuori, in particolare nel centro di Addestramento della Polizia Internazionale in Giordania. Gli addestramenti hanno l’obiettivo di preparare le nuove forze per portare avanti operazioni interne di polizia e di controterrorismo, ma non offrono alcuna capacità difensiva nel caso di minaccia esterna o invasione. L’equipaggiamento è volto esclusivamente alla repressione interna e alla protezione dei vertici e la pianificazione strategica è intesa in armonia con l’esercito israeliano e i suoi obiettivi.
Per Israele e gli USA, il programma di riforma della sicurezza dell’ANP è visto come un successo. Il presidente israeliano Shimon Peres, in un discorso al Parlamento Europeo nel 2013, ha espresso la soddisfazione di Israele per lo stato della sicurezza palestinese: “Una forza di sicurezza palestinese è stata formata. Voi e gli americani l’avete addestrata. E ora lavoreremo insieme per prevenire il terrorismo e il crimine”.
La protezione dell’élite
Quando Abbas difendeva il coordinamento alla sicurezza chiamandolo “un interesse nazionale palestinese”, non stava sbagliano – se inteso nella prospettiva dell’élite dell’Autorità Palestinese. In tale contesto, l’interesse nazionale palestinese non dovrebbe essere inteso come interesse collettivo del popolo palestinese. Infatti, l’ANP è diventata un’industria lucrativa e un comodo polo per l’élite politico-economica e la classe capitalista e i loro compari, sempre più separata dalle condizioni di vita della popolazione che vive sotto un brutale regime di un esercito coloniale. La crescente divisione di classe dentro la società palestinese ha fatto sì che la sicurezza è dovuta diventare uno strumento di protezione dei benestanti e delle loro proprietà. L’insistenza di Abbas sulla prevenzione di ogni tipo di insurrezione lo rende pronto a usare la forza per reprimere le proteste, qualcosa che è diventato ormai frequente. Forse la sua paura più grande è che un’eventuale situazione di rivolta politica alla fine danneggi la sua posizione. E infatti, ogni volta che durante una protesta i manifestanti hanno tentato di avvicinarsi alla Muqata – il palazzo presidenziale a Ramallah – le sue forze di sicurezza hanno represso con la violenza le manifestazioni.
Quel palazzo è esempio della sofisticatezza del regime di protezione dell’ANP. La Muqata è protetta da “guardie presidenziali” professioniste, una forze di élite di oltre 6.000 uomini – aumentata dagli americani nel 2005, prima ne facevano parte 2.500 ufficiali. Recentemente anche le donne sono entrate a far parte del gruppo. La Guardia Presidenziale è strutturata secondo un modello militare e addestrata a proteggere Abbas e altri Vip, a reagire alle crisi e a salvaguardare le strutture dell’ANP.
La Guardia Presidenziale è stata particolarmente favorita dall’assistenza alla sicurezza statunitense. È importante notare che quando gli Stati Uniti hanno sospeso tutte le forme di aiuto alla sicurezza palestinese dopo la vittoria di Hamas alle elezioni del 2006, la Guardia Presidenziale è rimasta il solo apparato a ricevere finanziamenti diretti dagli Usa. Secondo Dayton, gli Usa hanno continuato nel sostegno di tale forza “perché la Guardia Presidenziale proteggeva direttamente il presidente Abbas e non era stata influenzata da Hamas”. Infatti, nel 2006 la Guardia ha ricevuto sostanziali aiuti statunitensi sotto forma di equipaggiamento, addestramento e infrastrutture, per un valori di circa 26 milioni di dollari.
Conclusioni
A seguito delle attuali proteste palestinesi e degli scontri con le forze di occupazione israeliane e i coloni, cominciate per l’uccisione brutale di un adolescente palestinese da parte di una gang estremista israeliana a Gerusalemme, molti osservatori si sono chiesti se i Territori Occupati potrebbero assistere all’inizio di una Terza Intifada che coinvolga anche i palestinesi cittadini di Israele. Nonostante tutte le condizioni oggettive per lo scoppio di una sollevazione in Palestina siano presenti, i palestinesi hanno ancora di fronte un enorme ostacolo che probabilmente farà abortire ogni possibilità di rivolta popolare: la partnership tra la sicurezza di Israele e quella dell’Autorità Palestinese.
Il settore della sicurezza palestinese nella sua forma attuale è lontano dall’essere parte di un progetto nazionale che possa servire la causa palestinese. Le forze di sicurezza palestinesi non rappresentano il popolo che dovrebbero proteggere e le loro operazioni e la palese cooperazione con l’occupazione israeliana hanno dimostrato di essere distruttive degli interessi nazionali palestinesi. Questo settore è strutturato secondo i piani e le condizioni predefiniti da israeliani e americani. La sua funzionalità e la sua continuità dipendono dalla soddisfazione delle preoccupazioni e le aspettative della sicurezza israeliana. La coordinazione alla sicurezza, in particolare, mira a distruggere ogni forma di resistenza, armata o pacifica. L’élite dell’ANP è altamente dipendente sugli apparati di sicurezza per difendere il proprio benessere e opprimere l’opposizione politica, anche se tale opposizione non rappresenta alcuna minaccia diretta al loro ruolo e ai loro privilegi.
Se un autentico settore della sicurezza nazionale ci deve essere, allora tali forze devono essere completamente ristrutturare così da legarsi ai reali bisogni e alle aspettative del popolo. Soprattutto, la Dottrina Dayton deve essere rimpiazzata dai valori di dignità, autodeterminazione e lotta anticoloniale. Questo, tuttavia, non potrà ma avvenire sotto l’ombrello di Oslo.
Traduzione a cura della redazione di Nena News