Il partito della sinistra nazionalista Vetëvendosje (Autodeterminazione) ha stravinto, con il 47,8% dei voti, le elezioni kosovare del 14 febbraio. Per ottenere la fiducia, il nuovo governo avrà bisogno molto probabilmente del sostegno delle minoranze etniche
di Marco Siragusa
Roma, 22 febbraio 2021, Nena News – Le elezioni anticipate del 14 febbraio, le quinte dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia del 2008, hanno rappresentato, almeno dal punto di vista elettorale, un cambio di rotta notevole per il Kosovo. Per la prima volta dall’indipendenza il governo non vedrà, salvo improbabili capovolgimenti, la partecipazione del Partito Democratico (PDK) dell’ex presidente Hashim Thaci e della Lega Democratica (LDK) dell’ex premier Avdullah Hoti. Il compito di formare un nuovo governo spetterà infatti ad Albin Kurti, leader del partito della sinistra nazionalista Vetëvendosje (Autodeterminazione), che ha ottenuto il risultato migliore nella storia del paese con il 47,8% dei voti. PDK e LDK si sono fermati rispettivamente al 17,4%% e al 13%, seguiti dall’Alleanza per il Kosovo di Ramush Haradinaj con il 7,4%.
Stando ai dati non ancora definitivi, mancano da conteggiare quelli della diaspora e il riconteggio di dodici seggi, al partito di Kurti spetterebbero 56 seggi su 120. Per raggiungere la maggioranza di 61 voti necessari ad ottenere la fiducia, Kurti dovrebbe far ricorso al sostegno delle minoranze etniche. La Costituzione kosovara, infatti, garantisce alle minoranze una rappresentanza di 20 seggi. Di questi, dieci spettano alla componente serba, quattro ai rappresentanti dei rom, degli ashkali e degli egiziani, tre ai bosgnacchi, due alla minoranza turca e uno ai gorani. La Carta riconosce inoltre un ministero alla minoranza serba, a prescindere dal sostegno o meno all’esecutivo, e uno ad un’altra comunità. In caso di più di dodici ministri complessivi nel governo, è riconosciuto un terzo ministero che, solitamente, va alla comunità serba.
Dati i pessimi rapporti tra Kurti e la Lista Serba, espressione diretta di Belgrado che ha vinto tutti e dieci i seggi destinati ai serbi, è praticamente impossibile che quest’ultima voti la fiducia al nuovo governo. Non del tutto scontato il sostegno di tutti gli altri partiti. La lista bosniaca Comunità Unite, che ha ottenuto un seggio (un altro è in bilico con il Nuovo Partito Democratico, possibile alleato di Kurti), ha già posto come condizione la creazione di due comuni a maggioranza bosniaca, così come già riconosciuto a serbi e turchi. Una richiesta che rischia di complicare le trattative con Vetëvendosje.
Chi si è detto sicuramente disponibile a sostenere il futuro governo sono stati la lista Vakat, altra lista bosniaca, il Partito Democratico Turco del Kosovo (KDTP), che ha vinto i due seggi spettanti alla minoranza turca, e la lista egiziana Nuova Iniziativa Democratica del Kosovo. Possibilista si è dimostrata anche l’Iniziativa Rom, mentre la comunità ashkali ha posto come condizione la promessa della costruzione di mille nuove abitazioni per i poveri di tutte le minoranze. Stando a questi numeri, Vetëvendosje dovrebbe raggiungere la soglia dei 61 voti.
Ma, al di là dei calcoli e dei giochi politici, come mai in un piccolo paese come il Kosovo (circa 1,8 milioni di abitanti) è riconosciuta rappresentanza parlamentare a così tante minoranze? Secondo i dati del censimento del 2011, in Kosovo sono presenti 27.500 bosgnacchi (1,6% della popolazione), 25.500 serbi (1,5%) che però boicottarono in massa il censimento, 18.700 turchi (1,1%), 15.400 ashkali (0,9%), 11,500 egiziani (0,7%), 10,200 gorani (0,6%) e 8.800 rom (0,5%).
Il riferimento a queste comunità è presente persino nella bandiera kosovara che include sei stelle, una per ogni gruppo etnico del paese (albanesi, serbi, turchi, rom/ashkali/egiziani riuniti in un’unica stella, bosgnacchi e gorani). In Kosovo vivono inoltre croati e montenegrini a cui però la Costituzione non riconosce ancora una rappresentanza parlamentare.
La presenza delle comunità serba e di quella turca è riconducibile alla storia del paese e alla secolare questione dei rapporti tra Serbia e Kosovo e alla dominazione ottomana dell’area. Nello specifico, i serbi sono maggioranza nel nord del paese, in sei municipalità a sud del fiume Ibar. I turchi sono stanziati principalmente a Prizren e sono maggioritari nel comune di Mamuša/Mamusha.
Secolare anche la presenza dei bosgnacchi, di fede musulmana. Durante il conflitto del 1998-99 si sono spesso ritrovati schiacciati tra serbi e albanesi, con i primi che gli imponevano di partecipare al conflitto al loro fianco e i secondi che li accusavano di collaborare con quelli che ritenevano occupanti. A causa del conflitto e delle difficoltà economiche, in quegli anni la presenza bosniaca nel paese cominciò a ridursi. La grande maggioranza di loro vive oggi nelle municipalità di Prizren, Dragash/Dragaš e Pejë/Peć, dove il bosniaco è persino riconosciuto come lingua ufficiale.
Più complessa invece la storia che riguarda rom, ashkali ed egiziani. I tre gruppi vengono oggi riuniti in un’unica sigla, RAE, e in un’unica stella sulla bandiera. Questo però non risolve alcuni problemi identitari, semmai li aggrava. Per i rom, il riconoscimento degli altri due gruppi da parte della comunità internazionale corrisponde ad un indebolimento della loro unità. Per ashkali ed egiziani, invece, essere accomunati ai rom equivale a una forma di assimilazione forzata. Le differenze tra i tre gruppi riguardano tanto l’aspetto linguistico quanto quello religioso. I rom sono sia ortodossi che musulmani e parlano il romanì e il serbo o l’albanese, in base al luogo in cui si trovano. Ashkali ed egiziani invece sono musulmani e parlano albanese.
Ogni gruppo tende a costruire una sua narrazione circa le proprie origini. Tra i rom è diffuso il riferimento all’arrivo nei Balcani dal “Piccolo Egitto”, ipotesi ripresa da documenti bizantini risalenti al XIII e XIV secolo che utilizzano come sinonimi i termini egiziani e zigani. Da parte loro gli egiziani hanno tentato per decenni di distinguere le loro origini, facendole risalire ai coloni stanziatisi nei Balcani addirittura nel V secolo a.C. La presenza di una comunità di origini egiziane veniva riconosciuta anche durante la Jugoslavia ma fu solo con il censimento del 1991 che venne introdotta la possibilità di dichiararsi “egiziani”, scelta seguita da appena 3300 persone in tutta la Federazione. Secondo un censimento non ufficiale condotto nel 1993 in Kosovo dall’Associazione degli egiziani, ai tempi erano presenti nel paese circa 120mila egiziani. La maggior parte di loro abbandonò il paese dopo la guerra a causa delle difficoltà economiche e alle tensioni etniche. Infine gli ashkali, la cui provenienza viene fatta risalire o agli spostamenti di popolazione dall’Iran nel IV secolo o dalla città palestinese di Askalon.
Quello che sicuramente accomuna queste comunità, nonostante i programmi e le iniziative delle istituzioni, è la condizione di diffusa povertà e discriminazione che vivono oggi nel paese, con tassi di disoccupazione e abbandono scolastico superiori alla già alta media del paese.
Infine vi sono i gorani, letteralmente “montanari”, ”abitanti delle montagne”. I gorani sono di fede islamica e vivono principalmente nell’area di Dragas/Dragash, nella regione della Gora (montagna) nel sud del paese al confine con Albania e Macedonia del Nord. Per alcuni i gorani sono serbi convertiti all’islam, per altri sono albanesi di lingua slava. Alcuni di loro si definisce addirittura bosniaco. Anche loro, come le altre minoranze, si sono ritrovati al centro del conflitto tra serbi e albanesi che ebbe come conseguenza la partenza di molti gorani verso l’Europa.
Solitamente le minoranze non serbe tendono a sostenere i governi, a prescindere dal loro colore politico. Quasi sempre però, i loro voti sono stati ininfluenti per la maggioranza. Questa volta invece, se i risultati parziali dovessero essere confermati, il loro sostegno potrebbe risultare decisivo non solo per la formazione del governo Kurti ma per l’intero processo di cambiamento sancito dalle urne. Nena News
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