Se la situazione in Croazia e Bosnia non è certo delle migliori, lo stesso vale per gli altri paesi della regione in cui fare giornalismo d’inchiesta, indipendente e libero dalle pressioni politiche è praticamente impossibile
di Marco Siragusa
Sibenik (Croazia), 17 ottobre 2019, Nena News –
Serbia
Per Reporters Senza Frontiere, negli ultimi due anni Belgrado ha visto nettamente peggiorare la propria posizione in termini di libertà di stampa. Nel 2018 il paese veniva collocato al 76esimo posto in classifica perdendo ben dieci posizioni rispetto ad appena dodici mesi prima mentre quest’anno è addirittura scivolato al 90esimo posto.
A partire dal 2012 il paese è guidato dal Partito Progressista Serbo di Alexsandar Vučić, attuale presidente della Repubblica ed ex primo ministro. Vučić era già stato Ministro dell’Informazione con Milosevic nel 1998 e autore di una discussa legge che limitava enormemente la libertà di stampa durante la guerra in Kosovo e i bombardamenti NATO del 1999. Negli ultimi anni il clima verso i giornalisti non allineati si è fatto sempre più ostile con attacchi diretti da parte dei rappresentanti delle istituzioni e indagini sul lavoro dei cronisti.
Uno dei principali obiettivi degli attacchi di Vučić e del suo partito è il network BIRN (Balkan Investigative Reporting Network) di volta in volta accusato di alimentare la persecuzione subita dalla Srpska Lista (la lista serba diretta emanazione del governo di Belgrado in Kosovo), di offendere l’onore del paese o lavorare per i nemici della Serbia.
I problemi che limitano la libertà di espressione nel paese sono diversi. In primo luogo la poca trasparenza nel finanziamento dei media. Come denunciato da KRIK, organizzazione no-profit creata per rafforzare il giornalismo d’inchiesta, il governo esercita la propria influenza non attraverso la proprietà diretta, fortemente limitata dalle privatizzazioni del 2015, ma con altri mezzi finanziari come la pubblicità di aziende pubbliche o attraverso il cosiddetto “project financing” che consente di ottenere fondi pubblici mediante la partecipazione a precisi progetti. La maggior parte dei fondi previsti viene ovviamente destinata agli organi di informazione fedeli al governo.
Altro problema è quello legato alla censura, alle dirette ingerenze dell’esecutivo sulle politiche editoriali dei giornali e alla discriminazione verso i media considerati ostili. Lo scorso aprile la consigliera per l’informazione Suzana Vasiljević, durante una trasmissione televisiva, ha presentato una vera e propria lista di proscrizione contenente 17 media colpevoli di attaccare l’esecutivo. Tra questi il quotidiano Danas, l’emittente televisiva N1 e qualche mezzo d’informazione locale come Kanal9 di Novi Sad guidata da Maja Pavlović al suo terzo sciopero della fame per denunciare le difficoltà cui sono costretti i media locali a causa dell’aumento delle tariffe per l’uso delle frequenze.
L’Associazione dei Giornalisti Indipendenti della Serbia (NUNS), il cui presidente è l’editorialista di Danas Slavisa Lekić, ha più volte denunciato l’aumento delle pressioni e delle minacce nei confronti dei giornalisti collegandone la causa con l’ascesa al potere di Aleksandar Vučić. Per la NUNS le colpe ricadono anche sull’Unione Europea considerata corresponsabile di ciò che sta avvenendo in Serbia in quanto preoccupata maggiormente dal mantenimento della stabilità interna garantita dal presidente che dalla qualità e dal livello di libertà concessa ai cittadini e ai media.
Negli ultimi mesi non sono mancati inoltre episodi violenti che, anche se non sempre direttamente riconducibili al governo, pongono più di un dubbio sui rapporti tra potere politico e criminalità. Uno degli ultimi casi più eclatanti è quello che ha riguardato il giornalista e proprietario del portale Info Žig Milan Jovanović la cui casa, nel comune di Grocka, è stata data alle fiamme pochi mesi fa. La sua colpa è stata quella di esprimere giudizi fortemente critici nei confronti dell’amministrazione comunale guidata da Ljubodrag Simonović. Le successive indagini della polizia hanno identificato lo stesso Simonović come mandante della violenza.
Nei confronti dei media serbi si parla sempre più spesso di “tabloidizzazione” riferendosi con tale termine ad un generale peggioramento nella qualità dell’informazione giornalistica basata sempre più su scandali, fake news e scoop presentati con toni sensazionalistici. Secondo un’analisi condotta dal quotidiano Jutarnji List sulle prime pagine dei principali giornali serbi, i tabloid utilizzano un linguaggio semplice e spesso volgare così da poter essere facilmente compreso da tutti. Tra gli obiettivi rientra l’esasperazione di un clima di costante tensione secondo cui i “nemici interni ed esterni della Serbia” sarebbero pronti a scatenare un’altra guerra contro il paese o a sostenere una conquista militare del nord del Kosovo a maggioranza serba.
I nemici sono soprattutto gli albanesi, desiderosi di distruggere l’integrità territoriale del paese, ma anche gli oppositori politici e i movimenti che da mesi animano le strade della capitale con imponenti manifestazioni di protesta contro il governo. Più ambigua la posizione sul presidente statunitense Trump che, a giorni alterni, viene presentato come alleato o come nemico. Chi viene sicuramente descritto come un fidato amico è il presidente russo Putin, presentato come l’unico veramente interessato a difendere l’unità della Serbia contro le rivendicazioni kosovare. In tutto questo, il presidente Vučić viene esaltato come l’unico politico serbo in grado di difendere gli interessi nazionali e portare il paese fuori dall’isolamento.
Dopo la cacciata di Milošević nel 2000, i cittadini serbi nutrivano grandi speranze sulla possibilità di veder migliorate le proprie condizioni di vita e il livello di democrazia nel paese. A distanza di due decenni, però, queste speranze sono state completamente disattese e la situazione, almeno per quanto riguarda la libertà di espressione e di stampa, non è poi così diversa dai terribili anni ’90.
Kosovo
In miglioramento, secondo quanto registrato da Reporters Senza Frontiere, la condizione della libertà di espressione in Kosovo. Dall’82esimo posto del 2017 il paese è passato al 75esimo di quest’anno.
Nonostante ciò non mancano, anche in questo caso, violenze e minacce contro i cronisti. Nel mese di luglio la corrispondente della televisione N1 Zana Cimili, di nazionalità kosovara-albanese, è stata minacciata di morte insieme alla figlia sui social network per la sua appartenenza etnica.
Così come accade negli altri paesi della regione, anche in Kosovo i partiti politici si rendono spesso protagonisti di duri attacchi contro i giornalisti. Ad agosto il Partito Democratico del Kosovo (PDK) aveva lanciato una vera e propria campagna di boicottaggio contro Express Gazette accusata di diffondere notizie false e ostili al partito in vista della campagna elettorale per le elezioni dello scorso 6 ottobre.
Oltre alle problematiche relazioni con il potere politico, un altro problema che limita il libero svolgimento della professione riguarda le difficili condizioni di lavoro. A febbraio l’Associazione dei giornalisti del Kosovo (AGK) ha reso pubblico un reclamo avanzato da un dipendente del quotidiano Tribuna per il mancato pagamento degli stipendi e violazione dei diritti sul lavoro.
Uno studio condotto l’anno scorso dall’AGK sottolinea come molti giornalisti lavorino senza mai firmare un contratto di lavoro e senza nessuna forma di protezione sociale. Insicurezza economica, paura di perdere il proprio lavoro e lavoro non adeguatamente retribuito rimangono tra i problemi principali per i giornalisti kosovari.
Montenegro
“Il Montenegro si è impegnato a rafforzare le libertà dei media e la libertà di espressione che sono le basi di una società democratica”. Queste le parole rilasciate dal ministro della Cultura montenegrino Aleksandar Bogdanović parlando alla Conferenza globale sulle libertà dei media a Londra lo scorso luglio. Eppure, stando a quanto riportato da Reporters Senza Frontiere, il Montenegro occupa la posizione peggiore di tutti i paesi dei Balcani piazzandosi al 104esimo posto nella classifica mondiale. Un risultato tutt’altro lodevole per un paese che dichiara di sostenere la libertà dei media. La posizione espressa dal ministro stride fortemente con quanto accaduto solo pochi mesi fa. Ad aprile il presidente Milo Djukanović, ormai al potere da trent’anni, ha citato in giudizio il quotidiano Vijesti per la pubblicazione di un’inchiesta su una presunta tangente pagata dall’imprenditore Dusko Knezevic all’attuale presidente. In precedenza lo stesso Knezevic aveva detto ai media di aver fornito negli ultimi 25 anni ingenti quantità di denaro al Partito Democratico dei Socialisti del Montenegro (DPS) del presidente Djukanović.
Ma è nei confronti della Radiotelevisione del Montenegro (RCGT) che, negli ultimi anni, si sono concentrati i maggiori sforzi del partito di governo per il controllo dei media. Nel giugno 2018, con la scusa di depoliticizzare il servizio pubblico, il Consiglio della RTCG aveva votato a favore della rimozione della direttrice generale Andrijana Kadija, cui fece seguito il cambio di quasi tutti i redattori. In realtà, dato che i membri del Consiglio vengono nominati dal parlamento e che questo è pienamente controllato dal DPS, non è difficile immaginare come dietro questa decisione ci siano state importanti pressioni politiche. Il licenziamento di Andrijana Kadija era stato definito dalla Commissione europea e dall’Osce come un attacco alla libertà e all’indipendenza dei media. Al momento è al vaglio del Consiglio d’Europa un disegno di legge che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe promuovere una maggiore libertà di espressione ed allineare la legge sui media agli standard internazionali.
Le influenze politiche non sono però l’unica preoccupazione per i giornalisti montenegrini che devono spesso fare i conti anche con arresti, minacce di morte e veri e propri tentati omicidi. A gennaio di quest’anno il giornalista freelance Jovo Martinović, impegnato in inchieste sul traffico di stupefacenti, è stato condannato a 18 mesi di detenzione con l’accusa di far parte di un cartello di narcotrafficanti internazionali. Martinović era già stato arrestato nel 2015 per traffico di droga e condannato a 14 mesi. Il rappresentante dell’Osce per la libertà dei media Harlem Désir ha difeso Martinović augurandosi che la decisione dell’Alta Corte del Montenegro possa essere presto annullata.
Ancora più grave quanto avvenuto al reporter Sead Sadiković, la cui auto è stata fatta saltare in aria di fronte la sua abitazione a Bijelo Polje il 1 aprile 2018, e alla giornalista Olivera Lakić del quotidiano Vijesti gambizzata, un mese dopo, da un sicario a Podgorica. Nena News