L’annessione unilaterale del 30% della Cisgiordania da parte di Israele, prevista per il 1 luglio, è stata rinviata in attesa del via libera definitivo da Washington. Questo non ha però fermato l’azione diplomatica israeliana volta a garantirsi il sostegno dei suoi alleati, tra cui i paesi dei Balcani
di Marco Siragusa
Roma, 9 luglio 2020, Nena News – La settimana scorsa l’ambasciatore israeliano di base a Tirana, con mandato anche per la Bosnia-Erzegovina, Noah Gal Gendler ha incontrato sia il rappresentante bosgnacco della presidenza bosniaca Šefik Džaferović che quello serbo Milorad Dodik.
Secondo quanto riportato dalla stampa locale gli incontri non hanno avuto come oggetto il piano di annessione della Cisgiordania voluto dal premier Netanyahu ma la tempistica lascia immaginare la volontà, da parte israeliana, di mantenere vivi e positivi i rapporti con i propri partner in quello che forse rappresenta il momento più delicato degli ultimi anni per lo stato ebraico.
Entrambe le riunioni hanno infatti sottolineato le buone relazioni tra Bosnia e Israele e soprattutto la possibilità di un loro ulteriore miglioramento nel campo della cooperazione economica. Dodik ha inoltre ribadito la speranza di veder presto aboliti i visti per i cittadini bosniaci che si recano in Israele, così come avvenuto a parti inverse nel 2012.
Ancor più stretto il legame con la Serbia del presidente Aleksandar Vučić. Negli ultimi anni le relazioni bilaterali tra i due paesi sono migliorate notevolmente sia dal punto di vista economico che culturale e politico. Alla base di questa amicizia il rifiuto di Tel Aviv di riconoscere l’indipendenza del Kosovo, dichiarata unilateralmente nel 2008. In un’intervista rilasciata in questi giorni dall’ambasciatrice israeliana a Belgrado Alona Fisher-Kamm per il Jerusalem Post, questa scelta viene giustificata con la linea stabilita da Israele di “respingere dichiarazioni unilaterali di indipendenza senza un accordo globale”. Nella stessa intervista, l’ambasciatrice ha detto di aspettarsi maggior sostegno all’interno delle Nazioni Unite da parte di un alleato come la Serbia.
A inizio giugno il ministero della Pubblica Istruzione serbo ha adottato la definizione di antisemitismo elaborata dall’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA). Tale definizione considera antisemite alcune forme di critica verso Israele, compresa l’equiparazione alla Germania nazista. Una scelta fortemente apprezzata dall’ambasciata a Belgrado che ha ringraziato il ministero con un tweet.
Questa non è stata l’unica, significativa, presa di posizione da parte del governo serbo. A marzo il presidente Vučić, noto estimatore di Netanyahu, partecipando alla conferenza annuale dell’Aipac, la più grande lobby pro-israeliana degli Stati Uniti, aveva annunciato l’apertura di una sede diplomatica a Gerusalemme.
All’inizio del 2020, l’Assemblea nazionale serba ha inoltre approvato una legge per la creazione di un centro commemorativo a Staro Sajmiste, alla periferia di Belgrado, dove durante la seconda guerra mondiale sorgeva un campo di concentramento.
Sempre nella capitale serba, a settembre 2019 era stato inaugurato un centro ebraico mentre nel giorno dello Yom Ha’Azmaut (“Giorno dell’indipendenza” per Israele), che cade tra aprile e maggio, diversi luoghi simbolo di Belgrado sono stati illuminati con i colori della bandiera israeliana.
Precedentemente, a marzo 2018, Vučić e il premier ungherese Viktor Orban avevano inaugurato la sinagoga di Subotica, nel nord del paese, costruita nel 1901 e utilizzata alla fine degli anni ottanta come teatro.
Più complicato, almeno all’apparenza, il rapporto con la Croazia. Il richiamo nostalgico al regime fascista degli Ustasa che caratterizza molte celebrazioni nel paese è spesso stato al centro di dure critiche da parte delle autorità israeliane. Al di là di ciò, negli ultimi anni la Croazia ha dimostrato di essere un ottimo alleato per Tel Aviv discostandosi spesso da quanto deciso dagli altri membri dell’Unione Europea. Quando il 21 dicembre 2017 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato sul riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, la Croazia è stata tra i 35 paesi astenuti in contrasto con il voto contrario della maggioranza dei membri dell’UE.
I buoni rapporti tra i due paesi sembravano esser stati messi in discussione lo scorso anno quando, a causa dell’intervento statunitense, venne cancellato l’accordo già raggiunto per la vendita a Zagabria di due MiG 21, aerei in dotazione all’esercito israeliano.
Nonostante la mancata conclusione dell’affare però, i rapporti si sono mantenuti piuttosto positivi. Il 23 giugno scorso, ben 1080 parlamentari europei di 25 stati membri hanno sottoscritto una lettera al governo israeliano condannando la decisione di annettere unilateralmente il 30% della Cisgiordania. Nell’elenco dei firmatari è impossibile trovare il nome parlamentari croati, siano essi di sinistra o di destra. Una presa di posizione significativa che mostra chiaramente come la politica croata nei confronti di Israele proceda in maniera quasi del tutto autonoma e in direzione opposta a quella dell’Unione.
Ancora una volta quindi, Israele sembra esser riuscito a garantirsi il sostegno dei suoi partner balcanici. Un risultato che non cambierà certo gli equilibri ma che risulta comunque di una certa importanza per dimostrare al mondo di non esser isolato e di poter contare sull’appoggio di paesi dell’UE e di loro potenziali futuri membri. Nena News