No secco dei parlamentari al referendum del 25 settembre nel Kurdistan iracheno. Ma Erbil tira dritto e con il suo presidente Barzani annuncia la legittimità del voto anche nella contestata Kirkuk. A sostenerlo è Israele
della redazione
Roma, 13 settembre 2017, Nena News – Il parlamento iracheno ha votato ieri contro il referendum sull’indipendenza del Kurdistan previsto per il prossimo 25 settembre autorizzando il premier al-Abadi a “prendere tutte le misure” necessarie per preservare l’unità del Paese.
“Questo referendum non ha base costituzionale, è una minaccia all’integrità dell’Iraq garantita dalla costituzione, alla pace civile e alla sicurezza regionale” si legge nella risoluzione approvata ieri. Di “incostituzionalità” ha parlato anche al-Abadi che ha chiesto alla leadership curda di venire a Baghdad per discutere della questione referendaria. Una delegazione curda aveva per la verità già incontrato alcuni ufficiali iracheni ad agosto per un primo round di incontri sull’indipendenza della loro regione. Una rappresentanza irachena sarebbe dovuta poi recarsi a Erbil (capitale del Kurdistan iracheno) a inizio settembre per un secondo vertice, ma la visita non ha ancora avuto luogo.
Ecco perché l’ennesimo invito al dialogo del primo ministro cozza con la realtà e appare solo una dichiarazione tampone priva di alcuna efficacia. Il governo autonomo del Kurdistan, infatti, è consapevole di avere il sostegno della popolazione e della maggioranza dei suoi parlamentari (solo la sinistra con Gorran e gli islamisti si oppongono) e perciò tira dritto per la sua strada infischiandosene di quello che pensa Baghdad. Emblematico quanto accaduto ieri quando i deputati curdi hanno abbandonato polemicamente gli scranni del parlamento dove si sarebbe di lì a poco votato per la legittimità del referendum. Una legittimità che ieri il presidente del Kurdistan iracheno, Masoud Barzani, ha ribadito anche nella contestata città di Kirkuk: “Kirkuk resterà al sicuro come lo è ora grazie ai peshmerga [forze curde, ndr]”. “Noi – ha aggiunto – non faremo compromessi con l’identità della città. Preferiremo rinunciare ai nostri diritti che fare concessioni su quelli delle minoranze etniche che vivono lì”.
Proprio Kirkuk è tra i punti più caldi dello scontro Erbil-Baghdad: rivendicata da entrambe le parti, è la città de-kurdizzata negli anni ’80 da Saddam Hussein e oggi de-arabizzata da Barzani dopo la vittoria contro l’autoproclamato Stato Islamico (Is). Al momento le sue immense ricchezze petrolifere sono in mano al governo regionale del Kurdistan che ne ha assunto il controllo dopo che l’esercito iracheno, nel 2014, si diede alla fuga all’arrivo delle milizie del “califfato”.
Il referendum ha inasprito le tensioni tra le due parti quando il Krg (il governo della regione autonoma curda) ha deciso di includerla nel voto. Una mossa che non solo ha scatenato le ire di Baghdad, ma anche aumentato le preoccupazioni delle potenze occidentali. Proprio quest’ultime temono che il risultato (scontato) a favore dell’indipendenza del Kurdistan possa esacerbare lo scontro tra il governo centrale e la regione autonoma mettendo così in secondo piano la lotta contro l’Is che, pur nettamente ridimensionato, continua a mietere vittime con devastanti attentati suicidi.
Ad opporsi fortemente al voto referendario sono, manco a dirlo, Turchia, Iraq, Iran e Siria che temono che l’indipendenza del Kurdistan iracheno possa avere ripercussioni dirette anche sui loro territori incoraggiando i desideri separatisti delle popolazioni curde presenti nei loro paesi.
Unica voce fuori dal coro è ufficialmente Israele che, con il premier Netanyahu, ha annunciato di sostenere l’indipendenza di Erbil con cui Tel Aviv da anni intrattiene ottime relazioni commerciali. In una nota rilasciata stamane dall’ufficio del primo ministro, Netanyahu ha detto di “appoggiare i legittimi sforzi del popolo curdo ad avere un proprio stato” dichiarando però la sua opposizione ai “terroristi” del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Nena News
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