Proteste in Israele contro la politica energetica del premier, messa in serio pericolo dai nuovi giacimenti egiziani. Tel Aviv guarda ad Ankara e ad un accordo da 2,5 miliardi di dollari.
della redazione
Roma, 9 dicembre 2015, Nena News – Due accordi firmati lunedì dal Ministero del Petrolio egiziano daranno la spinta al mercato interno delle risorse energetiche, danneggiano ulteriormente le ambizioni israeliane nella regione.
I due accordi riguardano nuove esplorazioni nel Golfo di Suez e nel deserto occidentale del paese. Il primo è stato siglato con l’Egyptian General Petroleum Corporation, per il giacimento Gazorina; il secondo con la compagnia tunisia Hps Oil&Gas. Il valore totale, se sommato agli altri 62 accordi stipulati con compagnie straniere per 268 pozzi, è stellare: 14,3 miliardi di dollari, che serviranno a garantire i bisogni del paese che in Africa consuma più gas e petrolio, 813mila barili al giorno nel 2014.
Le prospettive di crescita del settore energetico egiziano spaventano Israele: a settembre la scoperta dell’Eni del più grande giacimento di gas naturale, lungo le coste egiziane, aveva affossato i sogni di gloria di Tel Aviv che sperava di diventare uno dei principali produttori di gas tramite lo sfruttamento dei giacimenti Tamar e Leviatano. Le nuove ricchezze del Cairo impediranno a Israele di dettare legge sui prezzi e di stipulare ricchi accordi di vendita con il vicino. Il nuovo giacimento egiziano, infatti, garantirà una produzione totale di 5.5 miliardi di barili e coprirà le necessità di consumo egiziane per almeno dieci anni. Non solo: aprirà la strada alla crescita di numerose compagnie nazionali, un afflusso di denaro per combattere la crisi economica.
Una situazione che ha messo in pericolo i rapporti commerciali tra due paesi, Egitto e Israele, sempre più vicini soprattutto nelle politiche mediorientali e nella repressione del movimento palestinese Hamas. Per ricucire le relazioni, il premier israeliano Netanyahu ha inviato in Egitto un suo inviato speciale, che risolva la disputa sul gas dopo che la Camera di Commercio internazionale ha ordinato, lo scorso lunedì, a due compagnie israeliane di pagare 1,7 miliardi di dollari alla Corporazione Elettrica israeliana. Una punizione per l’Egitto per aver rescisso nel 2012 l’accordo ventennale siglato nel 2005 con Tel Aviv sull’esportazione di gas, ufficialmente a causa degli attacchi terroristici in Sinai. Il Cairo ha già annunciato ricorso, ma Israele spera di risolvere la questione con il negoziato diretto. Perché in ballo ci sono milioni di dollari e la sopravvivenza stessa del bacino del Leviatano che senza grossi acquirenti rischia la bancarotta.
A monte sta l’opposizione interna a Israele contro il piano Netanyahu per il Leviatano che vede il coinvolgimento del gigante statunitense dell’energia, Noble Energy. Il timore della Knesset, chiamata a votare questa settimana sull’accordo, è la creazione di un pericolo monopolio energetico e quindi un aumento del prezzo del gas nel paese. Reagisce anche la base: nei giorni scorsi migliaia di persone hanno protestato in Israele, a Tel Aviv, Modi’n, Ashdod, Arad contro la politica energetica del premier.
C’è da correre ai ripari. Se l’Egitto non comprerà più gas, Tel Aviv punta ad altri lidi. Dopo la Giordania e Cipro, ora si aprono le porte della Turchia. O almeno è questo l’obiettivo del governo israeliano: “Le relazioni con la Turchia erano buone un tempo – ha detto lunedì il ministro delle Infrastrutture e l’Energia, Yuval Steinitz – Dobbiamo pensare a rinnovarle. Le opzioni di esportazioni del gas non vanno cancellate”. Un’opzione valida dopo che i rapporti tra Ankara e Israele sono stati ricuciti a seguito dello scontro diplomatico sull’attacco israeliano alla nave turca Mavi Marmara diretta a Gaza, nel 2010.
L’alternativa Turchia non è una novità: già due anni fa i due paesi hanno avviato le trattative per la costruzione di un condotto lungo 470 km che possa trasportare in Europa 16 miliardi di metri cubi di gas l’anno, passando per la Turchia. Un progetto da 2,5 miliardi di dollari. Nena News
Non credo che sarà facile ricucire i rapporti tra Israele e la Turchia a causa della politica filo isis di Erdogan. Inoltre da sempre Israele ha ottimi rapporti con i Curdi, che per i Turchi sono la popolazione più pericolosa. Ritengo piu probabile accordi con l’Egitto per costruire un gigantesco hub per il Mediterraneo. La Turchia a meno che non sparisca Erdogan sarà sempre più isolata e con più nemici, la politica attuata dal suo governo, a parte il suo alleato Isis, gli ha alienato molte delle simpatie occidentali. Sono stati molto scaltri i Turchi ad usare le sensibili opinioni pubbliche europee riguardo le problematiche sui profughi facendosi finanziare per 3 miliardi di dollari, ma devono stare attenti perchè in Europa la popolazione inizia a essere stanca dei ricatti, e causa la crisi economica potrebbe reagire con aggressività in futuro alle provocazioni o alle furbizie Turche, quali i ricatti sui migranti, l’abbattimento di arei russi, il dumping nel commercio, etc.