È ormai tutto pronto per l’inizio della prestigiosa competizione ciclistica italiana, vero spot per lo “stato ebraico” e per il governo Netanyahu: dal 4 al 6 maggio tre tappe da Gerusalemme a Eilat passando per Haifa e Tel Aviv. Silenzio mediatico assordante sull’occupazione israeliana
di Roberto Prinzi
Roma, 3 maggio 2018, Nena News – Fremono gli ultimi preparativi per il Giro d’Italia che inizierà domani in Israele. Una novità assoluta: è infatti la prima volta che l’importante competizione ciclistica italiana comprenderà tappe fuori dall’Europa. Gli occhi degli sportivi e degli specialisti del settore sono puntati sul 4 volte vincitore del Tour de France, il britannico Chris Froome del Team Sky, che ritorna al Giro dopo 8 anni di assenza e che mira ad essere il primo ciclista dal 1983 ad aver vinto contemporaneamente le tre maggiori competizioni ciclistiche mondiali (Giro, Tour de France e Vuelta di Spagna). Se Froome promette di “dare il meglio nelle prossime tre settimane con l’obiettivo di arrivare primo”, a cantar vittoria è già Sylvan Adams, l’imprenditore israeliano di origini canadesi che non solo ha portato il Giro in Israele, ma che ha anche formato l’Israel Cycling Academy, il team israeliano che competerà nella prestigiosa gara italiana.
Ma ancora più contento è il governo di Tel Aviv guidato da Benjamin Netanyahu che sa bene che il Giro è una ottima vetrina per incentivare il turismo (nei prossimi tre giorni, si calcola, il Paese sarà esposto a circa 1 miliardo di telespettatori). Manna dal cielo soprattutto in queste ultime settimane in cui l’esercito israeliano ha ucciso almeno 44 palestinesi nelle proteste del venerdì al confine con la Striscia di Gaza. Il Giro è uno spot per Tel Aviv per ripulire la sua immagine pubblicata disturbata di tanto in tanto da qualche critica (flebile) a livello internazionale. Un regalo assai gradito per celebrare al meglio i suoi 70anni di nascita. L’esecutivo Netanyahu lo sa e vuole perciò battere cassa. “Il Giro d’Italia è tra i maggiori eventi sportivi tenuti in Israele – ha affermato ieri contenta la ministra allo sport Miri Regev – è una operazione logistica senza precedenti”. L’evento ha infatti avuto un forte sostegno finanziario da parte statale: il direttore del ministero del Turismo, Amir Halevi, ha assicurato che l’investimento di “diversi” milioni d’euro produrrà ricavi molto maggiori. C’è chi poi come Yoni Yarom, il capo delle Federazione ciclistica israeliana, spera che la competizione possa sviluppare negli anni una “cultura ciclistica” nel Paese, aumentando il numero degli appassionati di questo sport che conta in Israele 2.200 ciclisti agonistici.
Il 101esimo Giro d’Italia farà 3 tappe in Israele: la prima, domani, sarà una prova a cronometro di 9,7 chilometri che si terrà a Gerusalemme . Il giorno successivo i ciclisti affronteranno 167 chilometri (da Haifa a Tel Aviv) e, infine, l’ultimo giorno, pedaleranno da Beersheba, nel deserto del Neghev, verso sud fino a Eilat (229 chilometri). Nel promuovere la gara, Israele è stata attenta a qualunque dettaglio: ieri, ad esempio, il museo dell’Olocausto lo Yad Vashem a Gerusalemme ha voluto omaggiare il grande ciclista italiano Gino Bartali (vincitore del Giro nel 1936, ’37 e ’46 nonché del Tour de France nel 1938 e 1948). Bartali era già stato nominato “Giusto tra le nazioni” in Israele nel 2013 per aver contribuito a salvare circa 800 cittadini italiani ebrei. “Ginettaccio”, come era chiamato per il suo carattere spigoloso, aveva infatti nascosto nel telaio della sua bicicletta documenti fondamentali per gli ebrei fiorentini che cercavano di sfuggire alle deportazioni. Fingendo di allenarsi e percorrendo in bici la tratta Firenze-Assisi (350 chilometri tra andata e ritorno), il campione si era reso disponibile a diventare una “staffetta” su richiesta diretta del cardinale di Firenze Elia Dalla Costa.
Eppure nell’attesa di un possibile successo di Froome, nell’omaggio all’eroe Bartali (proprio lui che mai aveva voluto mettere in pubblica piazza il suo coraggio a servizio degli ebrei perché, come diceva, “il bene è un qualcosa che fai, non un qualcosa di cui parli”), nella scelta dei percorsi e dei nomi (a partire da “Gerusalemme”, come se la città fosse interamente israeliana), nelle strette di mano e sorrisi di questi mesi tra i rappresentanti del governo e del Giro e gli ufficiali locali, nel giro di affari che si vuole attivare (altro che valori dello sport), c’è qualcosa che manca all’appello. Qualcosa che stride con il clima di festa raccontato dai media italiani (sportivi e non): dove è l’occupazione di terra palestinese? Che ne è dell’assedio israeliano sulla Striscia di Gaza che, con amara ironia, i ciclisti guarderanno non troppo da lontano? E, in definitiva, che ne è dei palestinesi stessi a cui viene tolta la voce anche in questa occasione?
Sono le domande che in queste ore il ciclista palestinese 21enne Alaa al-Dali si starà ponendo. O meglio ex ciclista da quando ha perso la gamba destra dopo essere stato colpito dagli spari di un cecchino israeliano durante la “Manifestazione del Ritorno” a Gaza dello scorso 30 marzo. Otto interventi chirurgici non sono riusciti a salvare il suo arto e, va da sé, il suo sogno di poter continuare a pedalare. Eppure Alaa aveva talento: lo scorso agosto gareggiava per la Palestina per i Giochi asiatici a Giacarta. Poi le pallottole del 30 marzo e addio alla sua carriera. Intervistato dal portale Middle East Eye, al-Dali ha accusato gli organizzatori del Giro e i suoi colleghi perché far partire la competizione in Israele vuol dire a suo giudizio “incoraggiare la violenza israeliana”. “È davvero triste sapere che le persone si godranno il mio sport preferito in un paese il cui esercito ha distrutto il mio sogno. Sono scioccato e disgustato da questa notizia” ha raccontato.
Alaa non è il solo a pensarla così. Sulla stessa lunghezza d’onda è il Movimento per il boicottaggio e sanzioni d’Israele (Bds) che ha detto che iniziare il Giro in Israele è “un timbro di approvazione per la violazione del diritto internazionale e dei diritti umani dei palestinesi”. “Così come sarebbe stato inaccettabile che il Giro d’Italia prendesse il via dal Sud Africa dell’apartheid degli anni ’80, così è inaccettabile che la competizione serva a dare l’ok all’oppressione d’Israele dei palestinesi” si legge sul sito del movimento. Critiche contro la scelta d’Israele sono giunte anche dalla Piattaforma delle Ong italiane in Mediterraneo e Medio Oriente che riunisce più di 40 organizzazioni: “Scegliere di far partire il Giro d’Italia da Gerusalemme, avendo rimosso peraltro l’originaria dicitura Gerusalemme Ovest, il prossimo 4 maggio – si legge in un suo comunicato – è inopportuna perché sembra voler avallare la pretesa israeliana che la città sia la capitale unica e indivisibile dello Stato di Israele e, di conseguenza, l’illegale annessione di Gerusalemme Est allo Stato di Israele, in violazione del diritto internazionale e di molteplici risoluzioni delle Nazioni Unite”.
“Gli organizzatori e i partecipanti – sottolinea con amarezza al-Dali – non solo stanno chiudendo gli occhi di fronte alla nostra sofferenza come atleti a cui vengono negati diritti basilari, ma stanno anche incoraggiando le autorità israeliane a imporre maggiori restrizioni e continuare gli abusi contro di noi”. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir