«A Silwan – scrive Francesca Merz – l’uso dell’archeologia rappresenta un ennesimo metodo di espulsione della cittadinanza palestinese, una narrazione data in pasto con facilità ad un turismo sempre più distratto e superficiale»
di Francesca Merz
Roma, 30 ottobre 2019, Nena News – L’organizzazione nazionalista israeliana Elad, proprietaria del Kedem Center e del sito archeologico “La città di Davide” ha come obiettivo principale la colonizzazione ebraica del quartiere palestinese di Silwan e gestisce siti turistici e archeologici: in particolare a Silwan gestisce per l’appunto quello che viene chiamato “La Città di David”. Scopo di Elad è fare di Gerusalemme una città ebraica in cui la storia e il patrimonio ebraico sia predominante, questo comporta, in maniera più o meno dichiarata, a seconda delle circostanze, la necessità di sradicare qualsiasi altro tipo di cultura presente sul territorio, quella palestinese ovviamente per prima. Elad impiegava 97 lavoratori a tempo pieno nel 2014 e, secondo Haaretz ha ricevuto donazioni per oltre 115 milioni di dollari tra il 2006 e il 2013, diventando così una delle più ricche Ong israeliane. Un’altra organizzazione coinvolta nel cambiamento della composizione demografica di Gerusalemme è Ateret Cohaim, che punta a creare una maggioranza ebraica nella Città Vecchia e nei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est.
Il caso di Silwan, quartiere oltre le mura della città Vecchia, a netta maggioranza palestinese, è assolutamente esemplificativo della politica israeliana. Il turista medio non si troverà mai a passare per questo quartiere, fuori da tutti i circuiti di visita delle guide turistiche israeliane (ricordiamo in questa sede che per ottenere il patentino di guida turistica in Israele è necessario fare una scuola certificata dal Governo israeliano e dare ai turisti le sole informazioni sulla storia approvate dal governo israeliano, le guide che raccontano una storia differente sono passibili di ritiro della licenza).
Il turista in solitaria che si dovesse trovare per caso ad arrivare a Silwan, si troverebbe apparentemente a dare ragione da vendere al “punto informazioni Visit Israel” che si sarà premurato di informarvi di non oltrepassare “la barriera”, oltre la quale ci sono sporcizia e terroristi. Varcato l’ingresso del quartiere palestinese di Silwan, il turista si troverà ad aver lasciato il benessere, la pulizia, i servizi di Gerusalemme Ovest, le catene di ristoranti con insegne internazionali, per essere catapultato in un quartiere, degradato, sicuramente popolare, ma in cui murales e campetti da calcio urlano fortemente le parole cittadinanza e comunità.
Silwan racconta la Palestina di oggi in tutte le sue contraddizioni, racconta di un quartiere dal quale i palestinesi non vogliono e non possono andare via per non perdere i pochissimi privilegi dell’essere comunque cittadini di Gerusalemme, un quartiere che Israele vuole far diventare un ulteriore spazio di costruzione di una storia fittizia. I cittadini di Silwan pagano al governo israeliano le stesse tasse che pagano gli abitanti di Jaffa street, pur non avendo autobus che ci arrivano, pur non avendo da parte del governo israeliano un solo servizio: pulitura strada, costruzione dei marciapiedi, finanziamenti per le scuole e le attività dei cittadini sono servizi che qui semplicemente non vengono effettuati, gli spazzini non raccolgono nemmeno la pattumiera, lo stato israeliano a Silwan non esiste, prende le tasse e copre la propria inesistenza con la solita propaganda sulla sicurezza: a Silwan i bambini tirano le pietre all’esercito, a Silwan ci sono i resistenti, i palestinesi con residenza a Gerusalemme, quindi i più ostici per gli israeliani, che si organizzano in comitati, che aprono i campetti da calcio per far giocare i bambini, che escono in strada ricoprendo i muri di graffiti che inneggiano al diritto al ritorno e alla resistenza al colonialismo; in quella periferia di resistenza sociale e culturale c’è il nemico più solido dell’espansione israeliana, ma anche il prossimo quartiere della lista da far diventare parco giochi per il turismo di massa, il prossimo quartiere da “rivalutare”, sul quale speculare, con la scusa dei nuovi spazi verdi e delle nuove scoperte archeologiche.
Silwan rimane oggi uno degli unici quartieri non mummificati di Gerusalemme, dove si respira la vita della cittadinanza, dove, pur senza alcun servizio garantito dal governo, se non quello dell’esercito che fa continue incursioni notturne, la popolazione vive, gioca, va a scuola, si ritrova nelle strade per condividere progetti, luoghi di comunità, dove la gentrificazione e il turismo di massa non arrivano. La longamanu di Elad però non demorde né demorderà, prendere Silwan è ora il prossimo obiettivo. Il grande progetto della “Città di Davide” sorge a pochi passi da Silwan, ed è in continuo ampliamento. Riportiamo una importante testimonianza raccolta da Al Jazeera english, e la confermiamo avendo potuto vedere ciò che sta accadendo.
“Israele sta creando una realtà storica immaginaria con scavi di tunnel nella Gerusalemme est occupata”, Fayyad Abu Rmeleh, 60 anni, teme che un giorno il pavimento e il cortile della sua casa crollino. Ogni giorno, dice, dalla mattina fino al tardo pomeriggio, la famiglia sente scavare e trivellare tunnel sotto l’edificio. Gli scavi condotti dalle autorità israeliane sono iniziati per la prima volta nel 2000, ma è stato solo cinque anni fa che loro hanno iniziato a notare danni alla casa. “Sta mettendo in pericolo le nostre vite,” dice Abu Rmeleh ad Al Jazeera. “Se ti guardi intorno trovi nuove crepe. Non sappiamo quanti tunnel ci siano sotto la nostra casa, ma crediamo che siano almeno tre.”
I cinquanta membri della famiglia Abu Rmeleh vivono nel quartiere Wadi Hilweh di Silwan, nella Gerusalemme est occupata, pubblicizzato come l’attrazione turistica della “Città di Davide”, dove secondo alcuni israeliani il re Davide biblico costruì l’“originaria città di Gerusalemme”, circa 3000 anni fa. Sotto la loro casa le autorità israeliane hanno scavato tunnel, cercando le tracce dell’epoca del Secondo Tempio. Nella sua casa si sono formate lunghe crepe irregolari in ogni direzione – sulle scale, vicino alle finestre in bagno e in sala, mentre in certi punti si sono staccati dal muro dei calcinacci. Fuori di casa una crepa lunga un metro e mezzo si snoda sul terreno.
Ma la casa di suo nipote, che si trova nello stesso edificio, è stata ancora più danneggiata. All’inizio del 2018 è stato obbligato ad andarsene con la moglie e i cinque figli, in quanto il terreno ha ceduto e può a malapena sostenere i muri.
A luglio le autorità israeliane hanno inaugurato il tunnel scavato da poco, “il Cammino dei Pellegrini”, che si estende da Wadi Hilweh al Muro del Pianto, appena fuori dal complesso di Al Aqsa nella Città Vecchia della Gerusalemme est occupata. Sono archeologi israeliani ad aver condannato duramente gli scavi: mentre Greenblatt e membri di “Elad” sono certi che il nuovo tunnel servisse come cammino dei pellegrini verso il Secondo Tempio, molti archeologi non lo sono, come ha notato in un articolo Yonathan Mizrachi, che vive a Gerusalemme.
Mizrachi, direttore dell’Ong israeliana “Emek Shaveh”, dice ad Al Jazeera che i tunnel che Israele ha scavato dentro e attorno alla Città Vecchia e a Silwan sono “problematici”. Finora non è stato pubblicato nessun articolo accademico o scientifico sui tunnel, né è stato pubblicato alcun dato su quello che è stato scoperto. Secondo “Emek Shaveh”, riguardo al “Cammino dei Pellegrini” non ci sono certezze relative alla datazione del canale di drenaggio.
Oltretutto i tunnel sono stati scavati orizzontalmente, rompendo in pratica con il metodo di scavo verticale dalla superficie in giù accettato da un secolo e utilizzato dagli archeologi in tutto il mondo. Le informazioni ottenute da scavi orizzontali sono quasi senza alcun valore. “Quando scavi orizzontalmente, non puoi capire esattamente come i vari periodi si sono sviluppati nel sottosuolo, non capisci correttamente quello che trovi perché lo vedi da una sezione laterale, non dall’alto,” dice Mizrachi. In precedenza due importanti funzionari dell’Autorità Israeliana delle Antichità, Jon Seligman e Gideon Avni, avevano criticato lo scavo dei tunnel, affermando che, contrariamente alla prassi accettata, è “cattiva archeologia” e “le autorità non dovrebbero essere orgogliose di questi scavi”.
L’ultima inaugurazione è emblematica del più complessivo problema: ai visitatori dei luoghi archeologici accompagnati nella Gerusalemme est occupata viene detto che gli scavi sono esclusivamente relativi alla storia ebraica, ignorando i diversi capitoli multiculturali della storia di Gerusalemme, come i periodi bizantino e omayyade.“La fondazione “Elad” ha creato una realtà storica immaginaria fondata sulle sue convinzioni religiose e sui suoi obiettivi nazionalisti piuttosto che su ritrovamenti archeologici e altre prove storiche”, ha osservato Emek Shaveh in un suo rapporto del 2017. Per esempio, secondo Emek Shaveh presso i famosi tunnel del Muro del Pianto resti di periodi non relativi alla storia ebraica rimangono per lo più ignorati dai visitatori, nonostante gli archeologi concordino sul fatto che la maggior parte dei reperti sia successiva alla distruzione del Secondo Tempio. In realtà la maggior parte degli scavi presso i tunnel del Muro del Pianto sono al di sotto di strati che sono totalmente musulmani, strutture dei Mamelucchi del XIV e XV secolo, nota Mizrachi.
Eppure quello che viene raccontato ai visitatori si concentra quasi esclusivamente sulla storia del Secondo Tempio. Uno degli spazi più vasti scavati nei tunnel del Muro del Pianto è un hammam (bagno turco) del periodo mamelucco, nel XIV secolo, ma nessuno delle centinaia di migliaia di turisti venuti coi bus saprà della sua esistenza e della sua storia, è stato convertito in un’esposizione dell’eredità ebraica, dedicato a raccontare la storia del pellegrinaggio degli ebrei a Gerusalemme, “ignorando quindi completamente il significato storico del sito in cui si trova”, ha scritto Emek Shaveh.
“Non ci sono indicazioni per fare in modo che il visitatore sappia che si tratta di una struttura mamelucca o che è stata costruita dal governatore di Damasco, Sayf al-Din Tankaz, responsabile della costruzione di alcuni degli edifici più considerevoli del tempo” ha ulteriormente commentato Mizrachi in un articolo. Allo stesso modo nel 2012 il governo israeliano ha deciso di progettare un Centro Biblico all’ingresso di Silwan, che avrebbe presentato storie bibliche e la loro importanza per gli israeliani. Eppure, secondo Emek Shaveh, nessun resto significativo di periodi biblici è stato scoperto in quel luogo.
A Silwan continuano gli scavi sotto le case palestinesi per trovare prove storiche dell’esistenza di Re Davide, in campagne archeologiche al contrario, ovvero partendo da un’idea e tentando in tutti i modi di trovare i resti archeologici giusti per quel che si vuole raccontare, e nascondendo con un certo impaccio tutti gli altri. Va sottolineato il fatto che gli archeologi mettano in discussione le testimonianze dell’esistenza stessa di un regno nel X secolo a.C, che è alla base di tutta la narrativa e della nascita dello Stato di Israele, nonché di tutte le informazioni dati ai turisti.
“C’è un dibattito molto acceso tra gli archeologi su quanto avvenne a Gerusalemme nel X secolo a.C., il periodo che si intende come l’epoca di Davide e del regno di Salomone”, dice Mizrachi.
“Le testimonianze archeologiche sono molto poche e non ci forniscono il quadro di una vera e propria città, né assolutamente di una città vasta, grande, importante.” Non esistono dunque evidenze archeologiche dell’esistenza della città di Davide sotto Gerusalemme.
Mizrachi afferma che gli scavi del tunnel fanno “tutti parte di un progetto politico”. “Sfortunatamente Israele sta utilizzando questi tunnel mascherati da scavi archeologici, ma in realtà ciò fa parte dell’obiettivo di impedire che Gerusalemme rientri in qualunque soluzione politica,” afferma Mizrachi. “Pensiamo che sia un’altra forma di colonizzazione. È una colonia senza persone, ma si tratta di una colonia archeologica. Non è meno problematica, ma persino di più, rispetto ad altre colonie”.
In merito al dibattito internazionale che questi scavi hanno sollevato negli anni e tutt’ora sollevano, è quanto mai esemplare rendersi conto di come esso non tocchi né abbia toccato minimamente l’informazione sulla stampa italiana, ricordiamo un titolo dei tanti: titola “La Stampa” del 15 luglio 2019 “Gerusalemme, la strada dei pellegrini ebrei torna alla luce dopo 2000 anni”, con un incipit che così racconta la scoperta “L’antica strada dei pellegrini per salire verso il Tempio di Gerusalemme riappare dalle viscere della città e consente di immergersi in ciò che vi avveniva oltre 2000 anni fa. Il sottosuolo di Gerusalemme conserva intatte le tracce della genesi del monoteismo e quelle dei pellegrini iniziano ad affiorare, quasi per caso, in una giornata del 2004 quando salta una tubatura nel quartiere di Silwan, a sud-est della Città Vecchia. Alla presentazione del nuovo percorso turistico e di pellegrinaggio, ha preso parte l’ambasciatore americano in Israele David Friedman, che ha materialmente abbattuto, in un gesto simbolico di grande rilevanza, il muro che apre la “Via dei Pellegrini”
L’uso dell’archeologia è dunque un ennesimo metodo di espulsione della cittadinanza palestinese, una narrazione data in pasto con facilità ad un turismo sempre più distratto e superficiale. In pochi vi diranno che a Silwan prima del 1967 c’era la più grande ricchezza contadina e commerciale dell’intera Gerusalemme, l’80 per cento della popolazione era infatti costituita da agricoltori, e proprio qui venivano coltivati l’80 per cento dei prodotti che si commercializzavano in Gerusalemme e in Israele, era uno dei più ricchi distretti agricoli di tutto il territorio, quello che ora è stato trasformato dall’occupazione israeliana in un quartiere militarizzato e degradato. Il tentativo è sempre il medesimo: disconnettere i palestinesi dalle loro terre, esattamente come la grande industrializzazione dell’occidente ha fatto con i contadini, per trovarsi ora con città sovraffollate e borghi da ripopolare. Anche in Israele il comune denominatore utilizzato è il progresso, i nuovi piani regolatori sono modificati ad ogni nuova “evidenza archeologica” biblica, così sorgono ovunque nuovi sfavillanti musei e parchi cittadini, ai nostri occhi progetti di grande lungimiranza, ma gli occhi raccontano spesso storie fasulle, sia i primi che i secondi sono metodi per distruggere una storia, una comunità. Nena News