Prosegue la battaglia legale nel quartiere epicentro dei tentativi dei coloni di allargare la propria presenza nella zona est della città, sulla base di una legge successiva al 1967. A rischio ci sono 27 persone. E non sono le uniche: lo stesso avviene a Silwan
di Chiara Cruciati
Roma, 17 febbraio 2021, Nena News – La decisione della corte distrettuale di Gerusalemme è arrivata ieri: sei famiglie palestinesi – i Kurd, i Jaouini, i Qaasem e gli Skafi – residenti nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, saranno espulse dalle proprie case dove vivono da 70 anni. Ventisette persone divise in quattro case avranno tempo fino al 2 maggio per andarsene, a favore dell’ingresso di coloni israeliani, la più recente fase di una battaglia legale che nel quartiere va avanti da decenni.
“Una decisione che è parte di una mossa organizzata per spossessare la comunità palestinese della sua casa e stabilire al suo posto un insediamento”, commenta l’organizzazione israeliana Peace Now. Perché Sheikh Jarrah è uno degli epicentri del lungo percorso di trasformazione demografica di Gerusalemme, iniziato nel 1948 e proseguito nel 1967 con l’occupazione militare israeliana di Gerusalemme Est: sono centinaia i palestinesi su cui pendono procedimenti simili nel quartiere.
E non sono gli unici: a Silwan, altro quartiere di Gerusalemme Est, appoggiato sulle mura della città vecchia, la situazione è identica. E’ della scorsa settimana una decisione simile nella zona di Batan al-Hawa, a Silwan, che ha coinvolto quattro famiglie palestinesi. Lo ricordano i numeri: da inizio 2020 a oggi a Gerusalemme la corte ha ordinato l’espulsione di 36 famiglie palestinesi (un totale di 165 persone).
Nel caso di Sheikh Jarrah a premere sulla magistratura è l’organizzazione di coloni Nahalat Shimon, registrata negli Stati Uniti, che punta a costruire un insediamento a Sheikh Jarrah attraverso la lenta e graduale espulsione dei palestinesi residenti. Ma anche e soprattutto un altro grande gruppo, Ataret Cohahim, ufficialmente un’istituzione religiosa ma in realtà espressione della destra radicale che ha come obiettivo l’ampliamento della presenza dei coloni a Gerusalemme Est.
Alla base delle azioni legali sta la rivendicazione di quelle terre, di proprietà ebraica dalla fine dell’Ottocento. Una legge israeliana, approvata dopo il 1967, permette ai discendenti degli ebrei residenti in città prima del 1948 e la fondazione di Israele di reclamare proprietà nella zona est. I palestinesi si battono contro la legge, che non ha un bilanciamento a loro favore: nel caso dei palestinesi cacciati dalle proprie case a Gerusalemme Ovest e nel resto dello Stato di Israele, la cosiddetta “Legge degli Assenti” (1950) ha permesso alle autorità statali di confiscare le proprietà senza riconoscere alcun diritto di reclamo.
Uno strumento legislativo centrale nella costruzione dello Stato che ha permesso al neonato Israele di impossessarsi di quasi tutto il territorio e le sue costruzioni, togliendole ai proprietari palestinesi privati. Nel caso delle famiglie espulse ieri, la Corte distrettuale ha rifiutato di discutere la proprietà delle terre nonostante gli avvocati delle sei famiglie avessero tentato di dimostrare che i coloni non possono reclamarli e che le abitazioni lì costruite sono state realizzate dall’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi.
E se ora alle famiglie di Sheikh Jarrah resta solo l’appello all’Alta Corte, con poche speranze, nelle stesse ore nel quartiere di Ras al-Amud, anche questo a Gerusalemme Est, i bulldozer israeliani demolivano le case della famiglia Abu Rumouz, perché costruite senza permesso municipale. Un permesso che è una chimera per i palestinesi gerusalemiti: nel 2020, secondo l’organizzazione israeliana B’Tselem, Israele ha demolito 729 case palestinesi nei Territori occupati per mancanza di permessi di costruzione, che non vengono rilasciati pressoché mai, costringendo ad anni di attesa e spese ingenti. Nena News
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