Hamas cancella la tradizionale manifestazione nel Giorno dei Lavoratori. La situazione economica nella Striscia è drammatica: disoccupazione alle stelle, aziende distrutte, nessuna ricostruzione e la faida interna Hamas-Fatah.
della redazione
Gerusalemme, 7 maggio 2015, Nena News – Gaza perde anche il Primo Maggio. Di lavoro ce n’è pochissimo, tra otto anni di assedio e tre guerre che hanno raso al suolo – oltre a case e vite umane – anche industrie, negozi, fattorie e posti di lavoro. La Striscia è isolata dal mondo, prigione a cielo aperto. Ora questo isolamento investe anche il Giorno dei Lavoratori: a proibire, il primo maggio scorso, la tradizionale marcia in onore del lavoro è stato il governo de facto di Gaza, Hamas.
Immediata è stata la reazione delle federazioni sindacali, dei sindacati e delle varie organizzazioni legate al mondo del lavoro che in una lettera hanno espresso la rabbia per la cancellazione della manifestazione che avrebbe dovuto essere diretta anche a protestare contro la cosiddetta “tassa di solidarietà”.
“Ogni giorno il mondo celebra le lotte della classe operaia internazionale il primo maggio, per enfatizzare le richieste dei lavoratori, la loro visione politica e le loro aspirazioni – si legge nel comunicato – In questo giorno in Palestina, come tradizione, si dà ai lavoratori uno spazio per far sentire la propria voce: manifestazioni, festival, eventi che si fondano sul diritto del nostro popolo di combattere l’occupazione israeliane e le sue pratiche […] e permettono al movimento dei lavoratori di fare appello all’unità nazionale, mettendo da parte le differenze”.
Una tradizione spezzata quest’anno a Gaza: all’ultimo minuto il governo del movimento islamista ha deciso di cancellare la manifestazione, sebbene avesse già rilasciato i permessi necessari. Per i sindacati si è trattato, scrivono, “di una palese violazione della libertà di espressione e dei diritti del sindacato e della consacrazione del dominio di un solo partito politico sulla vita sociale e politica”. Per Hamas si è trattato probabilmente per una stanca riaffermazione del proprio controllo su Gaza, in un periodo di grave crisi economica e politica del movimento: isolato dal mondo arabo, incapace di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici e di gestire come prima i bisogni della Striscia, mai ricostruita dopo i 50 giorni di Margine Protettivo, Hamas sente di perdere il controllo e – come spesso accaduto nella storia di altri movimenti al potere – stringe le redini per riaffermare il proprio potere.
Una politica mal vista da parte della popolazione gazawi, soprattutto dopo l’introduzione della cosiddetta “tassa di solidarietà”: per pagare i salari dei dipendenti pubblici a secco (a cui l’Autorità Palestinese di Ramallah non intende consegnare gli stipendi, nonostante il governo di unità nazionale, preferendo versare il salario agli ex dipendenti gazawi pre-2007, legati a Fatah) Hamas ha chiesto ai cittadini di Gaza di contribuire con un’imposta speciale. Un’imposta che però va a gravare pesantemente su una popolazione allo stremo, che vive uno dei peggiori periodi della sua storia: la disoccupazione è alle stelle, i materiali da ricostruzione non entrano, gli sfollati sono ancora 100mila, l’elettricità è disponibile solo per 6-8 ore a giorno impedendo le normali attività sociali e economiche. Oltre 500 aziende sono state distrutte tra luglio e agosto dai raid israeliani, mentre dal 2007 il confine chiuso di Erez (da e per Israele) ha fatto perdere il lavoro a 150mila palestinesi di Gaza prima impiegati in territorio israeliano.
Il tasso di disoccupazione generale è schizzato al 45%, con punte del 63% tra i più giovani. I salari sono bassi, una media di 250 euro al mese. Dietro, la rottura tra Hamas e Fatah, mai ricucita nonostante la riconciliazione nazionale della scorsa primavera: i 70mila dipendenti pubblici assunti prima della presa del potere da parte islamista nel 2007 continuano a essere pagati da Ramallah seppure non lavorino più, mentre altri 40mila assunti da Hamas non ricevono lo stipendio da mesi.
Le testimonianze raccolte dai giornalisti locali per le vie di Gaza sono drammatiche: “Non c’è ragione per me di celebrare il Primo Maggio, le divisioni interne stanno durando da troppo tempo”, racconta Suheir al-Rayes, insegnante, all’agenzia stampa turca Anadolu. “Sebbene sia ancora giovane, mi sembra di aver raggiunto l’età della pensione”, aggiunge l’ingegnere 34enne Ahmed Ashour, parlando dei traumi subiti dalla popolazione di Gaza a causa degli attacchi israeliani e della necessità di riabilitazione psicologica. Nena News
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