Patrizia Cecconi racconta la vita di uno dei palestinesi uccisi venerdì 30 marzo nella Striscia dall’esercito israeliano: l’artista Mohammed Abu Amr
di Patrizia Cecconi
Gaza City, 3 aprile 2018, Nena News – Mohammed non era un profugo, era originario di Gaza, la bella città il cui nome in arabo significa tesoro e che i media a servizio di una narrazione distorta dipingono come covo di terroristi o dimora di disperati. Non era un rifugiato, ma come fratello della maggioranza dei palestinesi della Striscia, distribuiti in otto campi profughi, aveva fatto suo il diritto al ritorno e proprio il giorno prima di essere assassinato da un cecchino israeliano aveva completato la sua scultura sulla spiaggia con le lettere arabe che significano, appunto, io ritornerò.
Aveva solo 28 anni Mohammed Abu Amr e la sua filosofia di vita era impostata sulla speranza. Il sorriso regalato all’amico che lo fotografava prima che il killer israeliano premesse il grilletto era il sorriso di chi vede la vita attraverso le lenti del sognatore. Era un artista, esattamente uno scultore, e la spiaggia di Gaza era il luogo privilegiato in cui realizzava le sue opere giocando artisticamente con la grafia araba. Come tanti altri artisti palestinesi le ispirazioni venivano dalle situazioni vissute e dalle condizioni imposte dalla pluridecennale ingiustizia che subisce il suo popolo.
Due giorni fa c’era anche lui, insieme a decine di migliaia di giovani, vecchi, bambini, donne e uomini a partecipare alla “grande marcia del ritorno”, quella pensata da giovani palestinesi al di sopra dei partiti politici, e quindi trasversale alle diverse fazioni, e organizzata per rivendicare l’applicazione della Risoluzione Onu 194 che sancisce il diritto dei palestinesi a tornare nelle case da cui furono cacciati durante la naqba, la catastrofe, nel 1948.
Aveva tutta l’aria di una grande festa di popolo, la grande marcia. Chi arrivava sui calessini del mercato tirati dagli asinelli, chi su motociclette trasformate in taxi familiari con 5 persone ridenti aggrappate l’una all’altra, chi con auto vecchie, chi con auto nuove chi con pullman e chi su camion. Un grande meeting colorato, festante, pacifico ma determinato a mostrare a Israele e al mondo il diritto al riconoscimento del “diritto al ritorno” e del “diritto alla libertà.”
Ma Israele aveva già annunciato, forte della propria impunità, che avrebbe impedito ai gazawi di mostrare la loro decisa e pacata volontà di ottenere i propri diritti e aveva minacciato un possibile massacro senza che nessun paese democratico, né alcuna istituzione deputata al rispetto della legalità internazionale e dei diritti umani avesse proferito verbo. Quindi, il silenzio internazionale gli consegnava ancora una volta la licenza di uccidere. E quindi ha ucciso. Una mattanza che come le precedenti abbiamo motivo di supporre che resterà impunita.
E così, nella giornata della terra, il 30 marzo, diciassette giovani e giovanissimi palestinesi sono stati assassinati a sangue freddo e oltre 1800 feriti in modo più o meno grave. I media mainstream, come sempre, hanno giustificato il tutto con narrazioni ad hoc e accuse rovesciate. Chi era presente, come chi sta scrivendo – mentre nessun inviato di quei media lo era – la verità l’ha potuta documentare, ma non è passata sui canali televisivi, né sulle pagine della maggior parte dei quotidiani.
Lì si è parlato di scontri, battaglie e guerriglie,voluti dai vertici di Hamas. mentre in realtà si è trattato di un vero e proprio tiro a segno al palestinese esercitato da cento tiratori scelti che oggi sono stati encomiati e premiati per i loro crimini dal primo ministro israeliano.
Mohammed è stato uno dei primi ad essere colpito. Il killer che l’ha ucciso, puntandolo a distanza, ha mirato alla testa, forse mentre ancora sorrideva. Un’esecuzione senza colpa e senza processo. Un assassinio. E’ stato ucciso mentre si trovava a est di Gaza City insieme a migliaia di altre persone di ogni età, sesso e colore e di diverse appartenenze politiche e credo religioso perché anche a Gaza, come in tutta la Palestina, i palestinesi sono sia cristiani, seppure in minoranza, che musulmani e subiscono la stessa sorte perché sono comunque palestinesi.
Il giovane scultore che disegnava il sogno del ritorno ora è un martire della “grande marcia”. Potremmo anche dire una vittima della ferocia israeliana, e infatti lo è, ma le vittime degli oppressori sono testimoni, e martire, etimologicamente, significa esattamente testimone. II killer che ha fermato in un attimo la sua vita lo ha trasformato in testimone e le sue parole, consegnate alla memoria grazie a un’intervista rilasciata pochi giorni prima di essere ucciso, ora sono un monumento alla speranza.
Mohammed nell’ultima intervista aveva detto: “Sii umano, sii ottimista, fissa un obiettivo nella tua vita e apriti agli altri….”. Poi aveva aggiunto: “Possiamo realizzare nei sogni quello che non siamo riusciti a realizzare nella realtà…immaginiamo che i nostri sogni diventino noi stessi come una realtà incarnata e possiamo superare in questo modo le nostre difficoltà e i nostri conflitti psicologici.” Questa era la sua filosofia, adesso è il suo testamento ideale.
Ora lo scultore Mohammed, insieme ad altri 16 martiri tra cui un bambino, è andato ad arricchire la lista dei martiri. Gaza ha perso un artista ma ha guadagnato un testimone e questo Israele, sempre pronto a convincere il mondo del suo bisogno di sicurezza, dovrebbe capirlo. Un testimone parla e condanna anche se la sua voce umana è stata spenta. Questo dovrebbe capire Israele, così come dovrebbero capirlo i governi e le istituzioni che lo sostengono assecondandolo nei suoi crimini.
Un martire o cento martiri non cancellano un diritto né spengono la volontà di lottare, anzi la rinforzano. La grande marcia non si fermerà, anche se ci saranno altri martiri. Israele ha già annunciato, come farebbe un criminale sicuro della sua forza, che ucciderà ancora e che penetrerà nella Striscia con i suoi strumenti di morte. Anche se il mondo glielo lascerà fare, anche se Israele seguiterà ad uccidere, il sogno di Mohammed Abu Amr e degli altri sognatori uccisi con lui, seguiterà ad essere l’incubo di Israele.
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