Nena News vi mostra foto e video inviate da attivisti sudanesi, da ieri impegnati in una nuova forma di resistenza all’esercito: barricate e sciopero generale. Almeno quattro i morti nelle ultime 24 ore
di Chiara Cruciati
Roma, 10 giugno 2019, Nena News – Da ieri in Sudan è disobbedienza civile. E’ la risposta al massacro dello scorso lunedì e agli ultimi arresti tra membri delle opposizioni, avvenuti sabato a meno di 24 ore dalla visita del premier etiope Abiy Ahmed che si era proposto come mediatore.
“La disobbedienza civile nazionale in Sudan è stata di grande successo in tutti i settori – racconta a Nena News un giovane sudanese, vicino alla Spa, l’Associazione dei Professionisti sudanesi, leader della protesta iniziata a metà dicembre – Hanno chiuso tutte le banche, i mercati, gli aeroporti e i porti, con l’eccezione di alcuni voli partiti da Khartoum all’alba”.
Strade vuote, negozi sbarrati, mercati chiusi, trasporti pubblici pressoché assenti. E’ stata una domenica di protesta in Sudan, con il movimento di massa nato a fine dicembre che non intende arretrare dopo aver ottenuto la cacciata del dittatore Omar al-Bashir e ora alle prese con il giogo dei militari. Che dopo il massacro dello scorso lunedì – si parla di almeno 108 morti e 500 feriti nella distruzione del campo di protesta che dal 6 agosto presidiava le strade di fronte al quartier generale dell’esercito – continuano a uccidere.
(Il mercato di Wad Madani, nello Stato di Al Jazeera)
La nostra fonte riporta di almeno 4 uccisi negli ultimi giorni: “Due giovani sono stati uccisi a Bahri, nella regione a est di Khartoum. Sabato mattina, invece, un gruppo di soldati delle Rsf (unità paramilitari legate all’esercito sudanese, ndr) hanno ucciso l’ufficiale Essam Mohamed Nour nella sua casa nel distretto di Ombada, nella capitale. Hanno ferito alcuni familiari. La ragione è che il giorno prima, venerdì 7, Essam Nour aveva arrestato una gang responsabile di attacchi contro la gente dell’area di Yarmook. Il giorno dopo le Rsf si sono presentate a casa e lo hanno ucciso di fronte alla famiglia”.
“Un’altra vittima – continua la nostra fonte – è l’attivista per i diritti umani Waleed Abdulrahman, ucciso questa mattina (ieri) da un cecchino. Il giorno prima insieme ai suoi amici nel quartiere di Bahri aveva parlato con la polizia del blocco delle strade e le barricate, necessarie a impedire che le Rsf attaccassero i civili. La polizia ha provato a convincerli di rimuovere le barricate e Waleed gli ha risposto che quello era il loro lavoro, se volevano rimuoverle dovevano fare da soli. E poche ore dopo le Rsf lo hanno ucciso e hanno aggredito le persone al cimitero dove veniva seppellito”.
(Waleed parla con la polizia, poche ore dopo sarà ucciso)
(La polizia compie un raid nel cimitero dove Waleed veniva seppellito)
La situazione è esplosiva. il numero dei morti sale con le opposizioni che parlano di almeno 118 vittime dallo scorso lunedì. La parola d’ordine è disobbedienza civile, portata avanti con le barricate che bloccano le strade – con copertoni bruciati, pezzi di alberi e pietre – e lo sciopero generale. L’esercito risponde: secondo l’agenzia Dpa, alcuni impiegati della banca centrale e dell’aeroporto di Khartoum sono stati arrestati per aver scioperato.
La Spa incoraggia i manifestanti a costruire i blocchi nelle principali strade della città e poi a scappare, non restare a proteggerle per l’alto rischio di venire uccisi da militari o paramilitari: “Evitate lo scontro con le forze Janjaweed”, il messaggio. Con un chiaro riferimento ai paramilitari che per conto del governo di Bashir si macchiarono del crimine di genocidio in Darfur, nel 2003, e di cui uno dei loro comandanti – Hemeti – è oggi il vice presidente del Consiglio militare di transizione (Tmc).
Ora, dopo le proteste di massa, si opta per la disobbedienza civile. Da parte sua il Tmc opera con arresti e uccisioni, con gang che attaccano civili nelle strade, ma anche bloccando con frequenza internet nel paese e rendendo più difficile comunicare all’interno e all’esterno. Le informazioni girano, per quanto possibile, via telefono o in messaggi scritti che vanno di casa in casa, nel tentativo di organizzare in modo sistematico i giorni che verranno: l’obiettivo è fermare il paese, bloccarne le attività.
Sul tavolo c’è il futuro del Sudan. Dopo il raggiungimento, a maggio, di un accordo preliminare tra il Tmc e la Coalizione della Libertà e il Cambiamento, federazione dei vari gruppi di opposizione, i soldati lo hanno stracciato con il massacro di lunedì per poi chiedere di nuovo il dialogo ed elezioni entro nove mesi.
Le opposizioni hanno rifiutato il piano, insistendo che l’intera transizione avvenga per mano dei civili: “Il movimento di disobbedienza civile iniziato domenica finirà solo quando un governo civile annuncerà la sua autorità sulla tv di Stato – ha detto la Spa – La disobbedienza è un atto pacifico e capace di far inginocchiare davanti a noi uno dei più potenti arsenali militari del mondo”. A sostenerli c’è l’Unione Africana che la scorsa settimana ha sospeso il Sudan fino a quando non cederà il potere a forze civili. E risponde anche il Tmc che con il suo portavoce, Shams El Din Kabbashi, ieri si diceva pronto ad ascoltare le richieste delle opposizioni e riprendere i negoziati.
Negoziati sì, rispondono le opposizioni, ma a tre condizioni: che si lanci un’inchiesta sul massacro di lunedì, che si chieda scusa ai sudanesi e che liberino i prigionieri politici. Le stesse condizioni che venerdì la Coalizione della Libertà aveva presentato al premier etiope Ahmed, appositamente volato a Khartoum per fare da mediatore. Senza troppo successo, visto che poche ore dopo la sua partenza l’esercito ha arrestato due membri delle opposizioni che lo avevano da poco incontrato: Mohamed Esmat e Ismail Jalab. Nena News