Media, governo francese, Chiesa cattolica: nella rubrica settimanale trattiamo degli attori indiretti del genocidio ruandese di 25 anni fa. Oltre 800mila morti in cento giorni
di Federica Iezzi
Roma, 13 aprile 2019, Nena News – Venticinque anni fa 800mila persone, in maggioranza tutsi, vennero massacrate nell’arco di tre mesi in Ruanda. I responsabili materiali furono gli uomini della Forza armata ruandese e il governo di Kigali. Ma, in modo indiretto, furono anche altri gli attori del massacro.
Radio Television Libre des Mille Collines. Si può esplorare il genocidio in Ruanda attraverso il prisma dei media, attraverso il ruolo di giornali e radio, protagonisti nell’incitamento all’odio razziale. Un turbine sulle fiamme della violenza. Prodotto negli anni ’30 sotto il dominio belga, il periodico della chiesa cattolica, Kinyamateka, ha indossato un ruolo vitale nella creazione dell’ideologia razzista.
Grégoire Kayibanda, uno dei primi giornalisti del Kinyamateka, che poi sarebbe diventato il primo presidente del Paese dopo l’indipendenza, era solito incoraggiare gli hutu a espellere i tutsi o a combatterli brutalmente. Accanto al mensile, il settimanale Kangura ha partecipato alla diffusione della propaganda di odio contro l’etnia tutsi.
E nel giugno 1993 entra in gioco Radio Télévision Libre des Mille Collines, che continuava ad incoraggiare i civili ad armarsi e ad attaccare i tutsi. Lungi dall’essere una forza unificante, divise i ruandesi e martellò il pubblico con canzoni dai testi incendiari. La radio divenne una singolare arma di propaganda e il suo obiettivo è stato quello di demonizzare i tutsi, i cosiddetti hutu moderati e tutti coloro che collaboravano con i tutsi, specialmente quelli facenti parte del governo dell’epoca.
La radio era stata a lungo usata come portavoce del governo e gli stessi cittadini erano abituati a vivere il governo del Paese attraverso questa popolare forma di comunicazione. Appurata l’opportunità e il potere della radio, il governo ha usato deliberatamente e sottilmente i media per propagare l’odio genocida.
Chiesa cattolica. Durante il genocidio, seppur migliaia di persone si rifugiarono nelle centinaia di chiese del Paese, furono ugualmente massacrate. Il Ruanda è uno dei Paesi africani più religiosi. Ma questa bella nazione, apparentemente devota, detiene anche una delle cose più oscure e malvagie della storia dell’intero continente.
Molte delle vittime sono morte per mano di sacerdoti, ecclesiastici e religione, secondo alcuni resoconti dei sopravvissuti e il governo ruandese ha dichiarato che molti sono morti nelle chiese dove i civili perseguitati avevano disperatamente cercato rifugio.
Nei primi giorni caotici del genocidio, più di 2mila persone avevano cercato rifugio nella più grande chiesa cattolica del Paese, l’église de la Sainte-Famille della capitale Kigali. Molti furono consegnati agli assassini da uno dei parroci, arruolati ufficialmente nelle milizie hutu.
Il ruolo della Francia. Mentre il Ruanda segna 25 anni dal genocidio, il governo francese sta rinnovando gli sforzi per far luce sul proprio ruolo nel Paese, a lungo fonte di tensione tra Parigi e Kigali. Il Ruanda ha ripetutamente accusato la Francia di aver giocato un preciso ruolo nel genocidio sostenendo il governo hutu, accuse che hanno spesso offuscato le relazioni bilaterali.
Il 22 giugno del 1994 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato le truppe a guida francese a lanciare una missione umanitaria nota come Operation Turquoise che salvò migliaia di civili tutsi. Ma la Francia è stata fortemente criticata per aver permesso a molti dei soldati e funzionari responsabili del genocidio di fuggire attraverso la zona umanitaria che controllava in Repubblica Democratica del Congo.
La Francia aveva una forte presenza nel Paese già all’inizio degli anni ’90 sotto la presidenza di François Mitterrand. Durante la guerra civile nel 1990-1993, l’esercito francese addestrava già soldati ruandesi, ignorando i primi segnali di pericolo che aprirono le porte al genocidio.
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Tribunale penale internazionale per il Ruanda. Nei mesi successivi al genocidio in Ruanda del 1994, il Consiglio di sicurezza dell’Onu istituì il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (Ictr). Non fu l’unico organismo istituito per giudicare i responsabili degli almeno 800mila morti in cento giorni di omicidi, ma divenne il primo tribunale internazionale a emettere un giudizio sul genocidio.
Complessivamente, in 5.800 giorni di procedimenti, sono stati incriminati 93 individui: politici, uomini d’affari, alti ufficiali militari e governativi, capi di media e leader religiosi. Due terzi di loro sono stati condannati e più di 3mila testimoni sono comparsi in tribunale per fornire i resoconti personali, che hanno delineato il quadro di crimini contro l’umanità.
L’Ictr è stato anche il primo tribunale internazionale a riconoscere lo stupro come mezzo per perpetrare il genocidio. Parallelamente al lavoro dell’Ictr, il sistema giudiziario ruandese ha tentato di pianificare equi processi a un numero impressionante di soggetti sospetti di genocidio, sia nei tribunali nazionali convenzionali che nei tribunali locali di gacaca, condotti dalla comunità. Ma le istanze di interferenze e le pressioni politiche hanno portato a una serie di processi iniqui. Nena News
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