Il nostro appuntamento settimanale sul continente africano vi porta in Uganda nel campo ormai trasformato in un insediamento permanente. L’obiettivo delle autorità locali è di costruire una città vivibile che potrebbe esistere anche se i rifugiati un giorno tornassero a casa
di Federica Iezzi
Roma, 28 novembre 2020, Nena News – Le immagini satellitari scattate a due anni e mezzo di distanza mostrano la trasformazione di una delle zone più trafficate del campo di Bidibidi in Uganda nord-occidentale. A partire dall’agosto 2016, i funzionari ugandesi hanno rapidamente ripulito le aree boschive e costruito nuove strade sterrate per accogliere migliaia di rifugiati che arrivano ogni giorno dal massacrato Sud Sudan. La zona 2 è una delle aree più densamente popolate e meglio organizzate di Bidibidi. Nel campo vivono un quarto di milione di persone. La maggior parte dei residenti di Bidibidi sono bambini. È il secondo più grande insediamento di rifugiati al mondo, dopo il campo dei Rohingya in Bangladesh.
In Uganda è in corso un grande esperimento. Uno skyline industriale si libra su robuste capanne di fango e piccoli appezzamenti agricoli. Bidibidi si è trasformato negli anni in un insediamento permanente, molti edifici sono stati ricostruiti con mattoni. Il Paese ha convertito la maggior parte delle scuole e delle cliniche mediche di Bidibidi in strutture permanenti e ha installato un sistema idrico. A differenza di molti campi profughi, che sono isolati e recintati, Bidibidi si fonde quasi perfettamente con l’ambiente circostante. Le case dei rifugiati, nelle cinque zone del campo, circondate da coltivazioni di mais, arachidi e piante di sesamo, sono quasi identiche a quelle dei villaggi ugandesi.
Nei campi di tutto il mondo, i rifugiati vivono stipati in tende, rifugi improvvisati o abitazioni di metallo. Sono limitati da leggi che rendono impossibile il lavoro e gli spostamenti fuori dai campi. Anche in campi ben pianificati come Azraq nel deserto della Giordania, la crudezza di una vita senza lavoro costringe i rifugiati a cercare di guadagnare denaro con accordi pericolosi e sottobanco. In Uganda, sotto una delle politiche più progressiste del mondo, coloro che sono fuggiti dalla guerra civile in Sud Sudan possono vivere, coltivare e lavorare liberamente. Qui il futuro di Bidibidi viene discusso ai più alti livelli di governo e della comunità internazionale. L’obiettivo è quello di costruire una città vivibile a partire da un campo profughi, una città che potrebbe esistere anche se i rifugiati un giorno tornassero a casa. La maggior parte dei campi in tutto il mondo sono ancora costruiti come stazioni temporanee. La velocità e la sopravvivenza hanno la priorità e i gruppi di supporto, i Paesi ospitanti e gli stessi rifugiati sperano che tornino presto a casa. La realtà è diversa. I rifugiati rimangono in esilio per una media di 10 anni. Mentre il mondo è alle prese con lo sfollamento da record, il mantenimento di campi temporanei costa centinaia di milioni di dollari all’anno e sospende la vita di milioni di persone.
Bidibidi aprì nel 2013, accogliendo fino a 6 mila persone al giorno, per lo più provenienti dai violenti scontri del Sud Sudan. Tutti i 193 Stati membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a integrare più pienamente i rifugiati nelle loro società. Tredici paesi, compreso l’Uganda, stanno pilotando questa strategia. Ma non è certo rivoluzionario in Uganda, dove ai rifugiati è stato permesso di vivere e lavorare per più di un decennio. Nel 2017, l’Uganda ha avviato lavori per incoraggiare lo sviluppo nelle aree di accoglienza dei rifugiati.
Stabilità a lungo termine significa spostare il paradigma dei campi profughi dagli aiuti umanitari all’industria privata. Se viene creato lo spazio legale in cui è consentita l’attività economica e alle persone viene data una stabilità giuridica di base, si può sostenere un enorme dinamismo che alla fine non può creare altro che prosperità. Progetti e budget redatti da varie organizzazioni umanitarie mostrano come lo sviluppo economico sia arrivato a Bidibidi: zone Wi-Fi, mini reti elettriche, impianti di produzione su larga scala. Nena News
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