Dopo Napoli, l’esposizione organizzata dalla rassegna salernitana arriva nella sua città, oggi alle 17.30: una campagna di sensibilizzazione originale, attraverso il design, per ridare voce ai palestinesi e alla loro cultura
di Maria Rosaria Greco*
Roma, 31 gennaio 2020, Nena News – “Ovunque in Occidente, nei media mainstream, in numerosi centri dell’accademia tradizionale e tra politici di alto rango, il punto di vista palestinese (che include la narrazione, le aspirazioni e la visione del futuro proprie del popolo palestinese) non è preso sul serio. È ancora questa, oggi, la situazione. Assistiamo, inoltre, a un nuovo assalto, sotto varie forme, alla narrazione palestinese. Negli ultimi anni l’amministrazione Trump, di concerto con il governo Netanyahu, ha avviato un progetto promosso da Jared Kushner, genero del presidente americano, volto a depoliticizzare la causa palestinese. L’idea è di rappresentare la Palestina storica quale questione economica e umanitaria, risolvibile con denaro e aiuti economici”.
Così scrive lo storico Ilan Pappe nella sua introduzione al catalogo della mostra “Comunicare la Palestina, una narrazione diversa” curata da Pino Grimaldi e Enrica D’Aguanno, che apre la settima edizione della rassegna “Femminile palestinese” a Salerno.
Proprio in queste ultime ore il presidente Trump ha annunciato quello che lui definisce l”Accordo del secolo”. Di fatto, dopo il riconoscimento unilaterale, alla fine del 2017, di Gerusalemme quale capitale israeliana, dopo aver definito “non illegali” pochi mesi fa le colonie ebraiche costruite nei territori palestinesi occupati da Israele nel 1967, ora decide, sempre unilateralmente, l’annessione a Israele di gran parte della Valle del Giordano, in particolare delle oltre 147 colonie agricole, illegali secondo il diritto internazionale.
E concede ai palestinesi uno Stato palestinese fantoccio che non avrà una propria sovranità, che non avrà nessun controllo dei confini, non potrà avere un aeroporto. Sarà un presunto Stato formato da bantustan separati fra loro. Uno frammento di terra che forse potrà avere una parte periferica di Gerusalemme est come capitale. Ai palestinesi sarà concesso di andare a pregare sulla spianata delle moschee che sarà israeliana. Trump promette anche 50 miliardi di dollari in aiuti e investimenti. Ovviamente però a condizione che a Gaza Hamas deponga le armi, che venga riconosciuto come prioritario il diritto alla sicurezza di Israele, che i palestinesi riconoscano esclusivamente come ebraico quello stato la cui capitale è Gerusalemme. E questo lo chiamano accordo.
“La Palestina può essere occupata, colonizzata e oppressa, ma la narrazione palestinese non può essere messa a tacere”, continua Ilan Pappe nella sua introduzione, in cui spiega quindi l’importanza della comunicazione.
Nasce proprio da qui nel 2014 la mia urgenza di iniziare un racconto diverso della Palestina, che appartenesse a una diversa visione e che uscisse dalle solite contrapposizioni preconfezionate dalla narrazione sionista. Così ho pensato a Femminile palestinese, una rassegna che racconta la Palestina, attraverso la sua cultura e la voce delle sue donne. Due luoghi, quello femminile e quello palestinese, che mi piaceva coniugare, perché entrambi abitati da pregiudizi, entrambi calpestati e considerati marginali o spesso colpevoli.
Se la comunicazione è un passaggio fondamentale per chi vuole raccontare cercando di intercettare l’interesse di un pubblico più ampio possibile, la comunicazione visiva diventa un passaggio quasi obbligato per una rassegna come Femminile palestinese che, appunto, ha l’obiettivo di accendere i riflettori su un tema dimenticato, di togliere la Palestina dall’isolamento, culturale e politico, in cui è stata sapientemente collocata e di contrastare la sistematica azione che lo stesso Ilan Pappe definisce di “memoricidio” nei confronti del popolo palestinese.
Così, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli, abbiamo chiamato il mondo del design della comunicazione a una campagna di sensibilizzazione sulla questione palestinese, irrisolta dal 1948. Al di là della narrazione dominante che vede i palestinesi come terroristi e gli israeliani come vittime, non è mai stato presentato un progetto di comunicazione che faccia riflettere l’opinione pubblica, che possa contribuire a superare le ipocrisie della retorica della pace, mettendo a nudo una questione che è, tuttavia, piuttosto semplice. Gli israeliani hanno colonizzato, e continuano a farlo, la Palestina, cacciando i palestinesi e costringendoli a vivere in condizioni di subalternità sociale, morale, culturale, economica. I palestinesi sono prigionieri in casa propria.
Diciannove designer della comunicazione, docenti in università e accademie italiane, hanno risposto presentando i propri lavori che sono quindi oggetto della mostra e del relativo catalogo. Coniugata alla mostra c’è un convegno di apertura che affronta il tema della comunicazione sociale, della utilità ed efficacia del design per trasferire idee politiche, consapevolezza e impegno sociale, in questo caso sulla Palestina.
La comunicazione sociale d’autore negli anni ha affrontato molti temi importanti, forse però questo è il primo progetto che riguarda un tema così “normalizzato” come la questione palestinese di cui non si parla più e che anzi viene tranquillamente “risolto” con un “accordo del secolo” da paura, che sbeffeggia impunemente il diritto internazionale sotto gli occhi del mondo.
Dopo l’opening in Accademia di Belle Arti a Napoli (dal 29/11 – 10/01 scorso) la mostra “Comunicare la Palestina, una narrazione diversa” arriva a Salerno al Teatro Ghirelli dove viene presentata oggi 31 gennaio 2020, alle ore 17,30, con una tavola rotonda, e rimane aperta fino all’11 marzo 2020, presso il teatro Ghirelli di Salerno.
La rassegna è sostenuta dal Centro di produzione teatrale Casa del Contemporaneo, negli anni Femminile palestinese ha consolidato preziosi partenariati come in questo caso con l’Accademia di Belle Arti di Napoli, con la quale nasce questo progetto di comunicazione sociale, e con l’AIAP, l’Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva che dà il patrocinio all’iniziativa e che esporrà, nella propria sede a Milano, la mostra subito dopo Salerno.
Un particolare ringraziamento va agli autori che hanno aderito con i propri progetti, mettendoci la faccia, di fatto compiendo un atto politico, scegliendo cioè da che parte stare. Li ringrazio tutti: Paolo Altieri, Enrica D’Aguanno, Geppi De Liso, Paolo De Robertis, Francesco Dondina, François Fabrizi, Cinzia Ferrara, Marialuisa Firpo, Pino Grimaldi, Gabriella Grizzuti, Gianni Latino, Roberta Manzotti, Armando Milani, Mario Piazza, Daniela Piscitelli, Andrea Rauch, Gianni Sinni, Leonardo Sonnoli, Marco Tortoioli Ricci.
La settima edizione della rassegna Femminile palestinese prosegue al Teatro Antonio Ghirelli di Salerno con altre iniziative. Il 12 e 13 febbraio, la due giorni dedicata al cinema e al cibo palestinese, “Cinema, hummus e falafel” con la proiezione di “The fading Valley” di Irit Gal e “Omar” di Marco Mario De Notaris e Luca Taiuti, accompagnati da hummus e falafel. Il 4 marzo è dedicato al videoreportage “Donne di Gaza” sulle condizioni femminili di vita nella striscia. L’ 11 marzo il concerto con gli Hartmann che presentano l’album “Trotula” che parla di Mediterraneo, donne e migrazioni.
*Curatrice della rassegna Femminile palestinese