Nonostante le palesi violazioni dei diritti umani, Obama preme per rafforzare l’alleanza con Il Cairo. Economia a picco, la vera sfida del nuovo presidente.
dalla redazione
Roma, 4 giugno 2014, Nena News – Celebrazioni ieri in Piazza Tahrir per la nomina ufficiale del generale Abdel Fattah Al-Sisi a nuovo presidente dell’Egitto: migliaia di egiziani si sono ritrovati nel luogo simbolo della rivoluzione per festeggiare l’ex capo dell’esercito, con fuochi d’artificio e bandiere. Una vittoria a metà: seppur Al-Sisi si sia aggiudicato il 96% delle preferenze, alle urne si è recato meno della metà degli aventi diritto al voto, uno striminzito 47% dovuto al boicottaggio delle forze islamiste, segno della spaccatura interna che vive il Paese dalla caduta di Hosni Mubarak.
Al-Sisi ha parlato alla nazione ieri per la prima volta da presidente, promettendo cambiamenti radicali ma senza darne i dettagli. In televisione, un’ora dopo l’annuncio ufficiale dei risultati elettorali, l’ex generale ha espresso “felicità per quanto ottenuto e l’aspirazione a guadagnarsi la fiducia del Paese”. “Quello che abbiamo realizzato è il normale risultato dei sacrifici degli egiziani, nelle rivoluzioni del 25 gennaio e del 30 giugno [il colpo di Stato del 2013 che ha portato alla deposizione dell’islamista Morsi, ndr]. L’Egitto conosce le minacce da affrontare. Ora è tempo di lavorare per il futuro, per realizzare gli obiettivi della rivoluzione, libertà, dignità, giustizia sociale”.
E mentre Al-Sisi si autocelebrava, a tendere subito la mano al neopresidente sono stati gli Stati Uniti, da sempre abili nel salire al volo sul carro del vincitore. E dopo aver appoggiato la deposizione del trentennale amico Mubarak, aver aperto al governo dei Fratelli Musulmani alla caccia di un’alleanza che mantenesse vivi gli stretti legami strategici ed economici con l’Egitto, ora Washington saluta Al-Sisi e si dice pronta a collaborare con il presidente. Obama parlerà con Al-Sisi nei prossimi giorni, ha fatto sapere la Casa Bianca, al fine di “migliorare la nostra partnership strategica e i numerosi interessi che Stati Uniti e Egitto hanno in comune”.
La Casa Bianca ci tiene a mettere qualche puntino sulle i, sottolineando che la deposizione di Morsi non è stato affatto un golpe (nonostante abbia portato in una prima fase al blocco dei finanziamenti militari al Cairo), ma che ora chiederà ad Al-Sisi di lavorare al rispetto dei diritti umani. Diritti che il neopresidente ha negato fermamente agli avversari politici: le quasi mille condanne a morte spiccate contro sostenitori e membri dei Fratelli Musulmani, la decisione di definire organizzazione terroristica la Fratellanza e la confisca di tutti i beni mobili ed immobili, la durissima repressione delle forze militari contro le manifestazioni di protesta hanno suscitato sdegno nell’opinione pubblica mondiale, senza però intaccare l’alleanza con Washington. E nemmeno quella con l’Arabia Saudita, acerrima nemica del movimento della Fratellanza, che ha subito chiesto l’organizzazione di una conferenza dei donatori per sostenere finanziariamente il nuovo Egitto di Al-Sisi.
Il Paese dovrà affrontare da subito la grave crisi che sta investendo il settore economico: scioperi e proteste dei lavoratori si susseguono senza sosta, mentre il settore turistico cala a picco a causa degli attentati che interessano il Sinai, meta di numerosi visitatori stranieri (secondo l’Istituto di Statistica, nel 2013 il numero di turisti è calato di oltre il 32%, passando dai 14 milioni di visitatori del pre-rivoluzione agli attuali 755mila). A ciò si aggiungono le mancate riforme sociali che il popolo egiziano chiede a gran voce e per le quali ha versato sangue e un deficit da decine di milioni di euro. Le promesse di Al-Sisi ad oggi sono state vaghe: un miglioramento dell’economia e il sostegno alle classi più povere, nulla di più. Il popolo chiede sussidi per elettricità, gas e pane: l’Egitto importa oggi circa 10 milioni di tonnellate di grano l’anno. Nena News