Sono 143 gli attivisti fuori e dentro le carceri in sciopero della fame contro la legge anti-proteste del governo. Che intanto riceve sostanziali aiuti dagli Usa per partecipare alla guerra all’Isis.
dalla redazione
Roma, 13 settembre 2014, Nena News – Sciopero della fame per gli attivisti chiusi nelle prigioni egiziane: lo hanno lanciato oggi sette partiti politici egiziani e coinvolgerà anche 60 detenuti. Sono oltre 140 le persone che parteciperanno alla protesta, dentro e fuori le carceri. La campagna, ribattezzata “la battaglia degli stomaci vuoti”, è volta a riportare l’attenzione sui prigionieri politici egiziani e sulla legge dello scorso novembre che vieta le proteste di piazza spontanee, ovvero senza la previa autorizzazione della polizia e delle autorità.
Sono decine gli attivisti e i manifestanti arrestati per aver violato la legge emanata dal governo di al-Sisi, figlio del golpe militare del 3 luglio 2013, che depose il presidente islamista Morsi. Tra gli arrestati, anche nomi noti dell’attivismo egiziano, come Alaa Abdel Fattah e Ahmed Douma, leader dei movimenti che scesero in piazza nel gennaio 2011 contro il regime di Mubarak. Abdel Fattah è stato condannato a 15 anni di prigione, mentre la sorella Sanaa Seif – arrestata a giugno mentre manifestava a favore del fratello – è oggi in custodia cautelare in attesa del processo.
Allo sciopero della fame parteciperanno anche sostenitori dei Fratelli Musulmani, target di una durissima repressione da parte del nuovo governo: dopo aver messo al bando il movimento islamista e confiscato ogni sua proprietà mobile e immobile, il nuovo esecutivo del Cairo ha condannato a morte un migliaio di sostenitori dell’ex presidente Morsi.
Alla protesta prenderà parte anche il Partito della Costituzione del premio Nobel El Baradei. Sostegno arriva anche da Amnesty International che ha pubblicato ieri un appello alle autorità egiziane perché rilascino gli attivisti arrestati tre mesi fa per aver violato la legge anti-manifestazioni. Il processo contro i 23 riprenderà oggi: “Si tratta dell’ennesimo processo-spettacolo basato su prove dubbiose, che vuole essere solo un avvertimento per tutti quelli che combattono la legge egiziana contro le proteste”, scrive Amnesty.
La legge, nota ufficialmente come “regolamento del diritto dei meeting pubblici”, vieta manifestazioni non autorizzate a riconosce alla polizia l’autorità di interrompere le proteste utilizzando cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e proiettili di gomma e arrestare i partecipanti. Una grave violazione dei diritti di espressione che da oltre un anno sta caratterizzando le politiche di repressione del governo al-Sisi. Poco importa: oggi, alla luce della nuova guerra al terrore lanciata dal presidente Usa Obama e ripresa da governi occidentali e arabi, all’Egitto viene perdonato tutto perché impegnato nella lotta contro i gruppi estremisti attivi in Sinai, in primis il qaedista Ansar Beit al-Maqdis.
Così, i fondi all’esercito bloccati ad ottobre 2013 (1,3 miliardi di dollari) da Washington a causa delle mancate riforme democratiche promesse da al-Sisi, sono stati sbloccati pochi giorni fa: il 30 agosto il segretario di Stato Kerry ha informato la controparte egiziana dell’invio di 10 elicotteri Apache alle forze armate del Cairo. “Riteniamo che questi nuovi elicotteri siano un mezzo importante che aiuterà l’Egitto ad affrontare questa minaccia”, aveva spiegato Kerry. A giugno erano stati già sbloccati 572 milioni di dollari del miliardo e 300 milioni previsti lo scorso anno.
La priorità resta l’Isis: oggi Kerry è volato al Cairo per allargare la coalizione dei volenterosi a cui l’Egitto ha già aderito giovedì al meeting di Jeddah. Il segretario di Stato incontrerà anche il capo della Lega Araba Nabil al-Arabi. Nena News