Ansar Beit al-Maqdis, gruppo formato da beduini e islamisti, minaccia nuovi attacchi. Crolla il settore turistico. A monte la discriminazione politica e l’assenza di investimenti economici in Sinai
dalla redazione
Roma, 17 febbraio 2014, Nena News – Questa mattina è giunta la rivendicazione del sanguinoso attentato compiuto ieri contro un autobus di turisti sudcoreani in Sinai. Il bilancio è di quattro morti – tre turisti e l’autista egiziano – e di almeno 13 feriti. Su Twitter il gruppo Ansar Beit al-Maqdis, formato da beduini e islamisti, ha dichiarato di essere il responsabile dell’esplosione: “Come avevamo promesso, quello che verrà sarà più amaro. Per la grazia di Dio, un bus è stato fatto esplodere a Taba. Continueremo a colpire i leader e l’economia del regime, in particolare il settore turistico e quello energetico”.
Il gruppo ha infine dato un “ultimatum” ai turisti stranieri: quattro giorni di tempo per lasciare il Sinai o “non potrete prendervela che con voi stessi”. Ansar Beit al-Maqdis sta incrementando con successo la propria presenza nella Penisola, con numerosi attacchi contro le forze militari. A settembre tentò di assassinare il ministro dell’Interno, Mohamed Ibrahim.
Secondo quanto riportato dal Ministero degli Interni, l’autobus con a bordo 32 sudcoreani cristiani stava viaggiando dal monastero di Santa Caterina, nella zona Sud della Penisola del Sinai, verso il confine di Taba con Israele, quando un ordigno è esploso all’interno. “Un attentato terroristico”, lo definisce la sicurezza egiziana che imputa la responsabilità a gruppi qaedisti presenti nel territorio e che dal 3 luglio scorso, giorno della deposizione del presidente Morsi e del regime dei Fratelli Musulmani, hanno portato avanti numerosi attacchi contro l’esercito e la polizia egiziani.
E se finora target dei gruppi islamisti erano basi e checkpoint militari, stavolta nel mirino sono finiti turisti stranieri, segno della crescente instabilità nella Penisola del Sinai e del tentativo – in parte riuscito – di destabilizzare un Paese alle prese con una difficilissima situazione interna. Se una simile nuova strategia dovesse prendere piede, l’Egitto potrebbe tornare ad affrontare una rinnovata crisi economica, dovuta al calo del turismo, come accaduto negli anni Novanta e Duemila. A dicembre 2013 si è già assistito ad un preoccupante crollo degli ingressi: -31% di turisti stranieri rispetto al dicembre 2012. “Spero si tratti di un incidente isolato – ha commentato preoccupato il ministro del Turismo, Hisham Zaazou – Tutto il resto del Paese è sicuro e quello che è successo può accadere in ogni parte del mondo”.
Che il resto dell’Egitto sia in sicurezza appare un’affermazione piuttosto affrettata: da luglio ad oggi oltre mille egiziani sono morti durante i ripetuti scontri tra forze militari e manifestanti islamisti, che non hanno mai accettato il colpo di Stato dell’esercito contro il regime dei Fratelli Musulmani (che ha condannato l’attacco al bus sudcoreano, negando qualsiasi tipo di responsabilità). Le proteste proseguono, seguite a centinaia di arresti e alla disintegrazione politica del movimento islamista, bandito dal Paese sia come partito politico che come organizzazione non governativa.
Sicuramente la situazione nella Penisola del Sinai è più calda: se le principali città egiziane sono teatro di scontri tra manifestanti e esercito, a dettare la linea in Sinai sono i miliziani qaedisti e i ripetuti attacchi compiuti contro i simboli del nuovo governo egiziano. A monte stanno le politiche discriminatorie che i diversi esecutivi del Cairo hanno sempre applicato in Sinai: nessun investimento economico, infrastrutture scarse e repressione delle attività illegali dei beduini che spesso sopravvivono solo grazie al contrabbando, in un’area dove i servizi sono riservati ai grandi resort e alle lussuose strutture turistiche.
Prosegue intanto al Cairo uno dei quattro processi contro l’ex presidente islamista Morsi, accusato insieme ad altri 35 membri dei Fratelli Musulmani di cospirazione con gruppi stranieri (Hamas, Hezbollah e Guardie Rivoluzionarie iraniane), spionaggio e terrorismo. Ieri l’udienza è stata nuovamente sospesa dopo che i legali di Morsi hanno lasciato l’aula come forma di protesta per le condizioni in cui l’ex presidente è costretto ad assistere alle udienze: dentro una cella chiusa e insonorizzata, non sentirebbe nulla di quanto viene detto.
Il giudice Shaaban el-Shamy ha sospeso l’udienza e l’ha rinviata al 23 febbraio, mentre ordinava a dei tecnici di verificare lo stato della cella e le lamentele dell’ex presidente. Nena News.