Pochi gli egiziani che ieri sono scesi in piazza contro il governo, ma le condizioni socio-economiche sono in caduta libera. Il Fondo Monetario approva in via definitiva il prestito ma mancano ancora riforme strutturali contro le disuguaglianze
della redazione
Roma, 12 novembre 2016, Nena News – Il via libera definitivo è arrivato ieri: il Fondo Monetario Internazionale ha approvato il prestito di tre anni di 12 miliardi di dollari all’Egitto per sostenere le riforme economiche del governo. La prima tranche, 2.75 miliardi, sarà versata a breve. Nel comunicato dell’Fmi, l’istituzione internazionale indica le generiche politiche che si attende dal Cairo: “Politiche volte a correggere gli squilibri interni e ricreare competitività, abbassare il debito pubblico, sostenere la crescita e creare posti di lavoro proteggendo i gruppi più vulnerabili”.
Obiettivi importanti che al momento sono stati anticipati da un’austerity durissima che ha colpito proprio le classi più vulnerabili, quelle marginalizzate alla periferia delle grandi città e nelle zone rurali. L’austerity, aveva avvertito il presidente al-Sisi in tv chiedendo sacrifici al popolo egiziano, è servita proprio ad ottenere quel prestito: la svalutazione della sterlina di ben il 48% nei confronti del dollaro, il taglio dei sussidi, la cancellazione dei posti di lavoro pubblici hanno avuto effetti a cascata, dall’inflazione galloppante alla carenza cronica di beni di prima necessità.
Ieri in Egitto il popolo era stato chiamato a protestare contro la crisi ma in piazza sono scesi in pochi. Ad organizzare la protesta era stato il movimento Ghalaba (movimento dei poveri), nato online ma senza ottenere particolare consenso. E così ieri nelle principali città di gente ne è scesa poca. In parte a causa delle forze di sicurezza, note per abusi e violenze, che già da giovedì avevano blindato piazze, arterie stradali, stazioni della metro; in parte per una generale stanchezza del popolo egiziano, soffocato da miseria e repressione politica. E infine per la scarsa fiducia in Ghalaba, movimento ancora avvolto nel mistero: buona parte dei gruppi figli della rivoluzione del 2011 e dei partiti politici tradizionali non hanno aderito alla protesta, bollando il movimento come un prodotto di Golfo e Turchia. Solo i Fratelli Musulmani, in corner, hanno aderito: dopo aver detto di non voler partecipare, giovedì si sono uniti.
Si sono registrati alcuni scontri a Giza, il Cairo e Alessandria e 130 arresti, tra cui tre giornalisti. Ma buona parte degli egiziani è rimasto a casa. Molti noti attivisti, tra cui l’avvocato Malek Adly, rilasciato da poco dopo 5 mesi in isolamento, imputa la scarsa partecipazione ad una generale disaffezione che richiede un lungo processo di riavvicinamento ai movimenti popolari che in Piazza Tahrir seppero guidare la rabbia e le aspirazioni democratiche del popolo egiziano.
Al momento la gente sembra più presa dalla necessità di far quadrare i conti, arrivare alla fine del mese, cercare un secondo lavoro. La situazione socio-economica è al collasso e lo scontento cresce seppure non sia ancora esploso. Ma i servizi segreti interni lo temono: il mese scorso, riporta una fonte dell’intelligence a Middle East Eye, i servizi hanno mandato al presidente al-Sisi un rapporto nel quale imputano alle mancante riforme economiche un calo consistente di popolarità del governo, registrato in particolare nelle zone più marginalizzate e povere del paese. L’impressione è che, mentre il governo è impegnato in progetti faraonicie inutile, la gente sia ridotta alla miseria.
Alcuni interventi sono stati compiuti, tra cui l’aumento dei sussidi individuali da 18 a 21 sterline egiziane e quello dei prezzi di vendita del grano per sostenere i contadini, ma non si tratta di misure strutturali capaci di affrontare la disuguaglianza tra centro e periferia, la dipendenza dall’export di beni alimentari, lo spreco di risorse idriche, la crisi del settore turistico. Nena News