Il Ministero delle Forniture sembra coinvolto in un nuovo scandalo dei sussidi sul pane, settore cruciale per la stabilità del paese, ma tra i più corrotti dell’economia egiziana. A dispetto dell’iniziale entusiasmo, anche le riforme introdotte dal Generale nel gennaio 2015 sembrano aver fallito
di Giovanni Pagani
Roma, 22 marzo 2016, Nena News – Tra le priorità di cui un presidente egiziano deve tenere conto, ai fini della propria sopravvivenza politica, l’efficace funzionamento dei sussidi statali sul pane è al primo posto. E non è un caso che sia Mohammed Morsi sia Abdel Fattah al-Sisi, consci della minaccia rappresentata dallo stesso malcontento popolare che aveva permesso la loro ascesa alla presidenza, abbiano inserito la regolamentazione del settore – divorato dalla corruzione – tra gli obiettivi più urgenti delle rispettive agende. Nel gennaio 2015, nel quadro di una più ampia e millantata lotta alla corruzione, l’ex-feldmaresciallo aveva introdotto una serie di riforme che, secondo alcuni osservatori, gli avrebbero fatto risparmiare molto denaro pubblico garantendogli il consenso popolare.
E così era sembrato, almeno stando alle cifre comunicate dal ministro delle Forniture, Khaled Hanafi, il quale ha parlato di 766 milioni di dollari risparmiati in un anno. Tuttavia, secondo quanto svelato da un’inchiesta di Reuters nei giorni scorsi, sembrerebbe che neanche il rigore del Generale Al-Sisi sia bastato a risanare il settore più corrotto dell’economia egiziana. Fino al gennaio 2015, i forni utilizzati dallo stato per distribuire il pane dovevano comunicare al Ministero delle Forniture la quantità di pane venduto, affinché i rimborsi fossero proporzionatamente quantificati sotto forma di farina a basso costo. Gran parte dei forni gonfiava volontariamente l’ammontare delle vendite quotidiane al fine di avere accesso a maggiori quantità di farina, che sarebbero poi state rivendute sul mercato nero.
A tal proposito, si pensa che circa il 50% del denaro statale iniettato nel sistema andasse disperso nel processo. Inoltre, nonostante già Mubarak avesse tentato di razionalizzare la spesa dividendo la popolazione in fasce di reddito, per decenni ai sussidi hanno continuato ad accedere anche molti membri dei ceti più benestanti; mentre i forni distribuivano il pane indiscriminatamente ai primi arrivati. Ciò non solo creava lunghe e interminabili code, ma faceva spesso sì che il pane sussidiato non raggiungesse chi ne aveva più diritto.
Le riforme introdotte l’anno scorso dal presidente Al-Sisi consistono sia in una più rigida classificazione della popolazione in quattro fasce di reddito – nella quale chi percepisce un salario mensile superiore a 1.500 lire egiziane non ha accesso ai beni sovvenzionati – sia in un sistema di smart card elettroniche distribuite solo alle famiglie aventi diritto ai sussidi. Ogni famiglia in possesso di una carta ha dunque accesso a cinque pezzi di pane al giorno, per un valore di 45 lire egiziane al mese, oltre a 15 lire mensili da utilizzare per altri beni di prima necessità. Se una famiglia non utilizza tutte le 45 lire per acquistare pane, può inoltre decidere di commutare il denaro rimanente in altri beni sussidiati.
Un sistema elettronico è stato poi installato in ogni forno convenzionato con il ministero, affinché sia possibile tracciare la quantità esatta di pane venduta da ogni forno, quindi calcolare la farina sussidiata senza dispersione di denaro pubblico. Tuttavia, nonostante il sistema delle smart card abbia rivoluzionato in positivo la distribuzione dei sussidiati, tutelando soprattutto le famiglie aventi diritto ai beni sovvenzionati, sembra che non sia stato sufficiente a estirpare la corruzione, che, secondo alcune fonti interne al sistema di distribuzione e vendita, starebbe proliferando più indisturbata di prima.
Da un lato sembra in dubbio l’intelligenza delle stesse smart card, che come racconta a Reuters un fruttivendolo di Helwan – periferia del Cairo – sarebbe stata compromessa per volontà della ditta produttrice SMART, vendendo ai forni carte contraffatte in grado di falsificare le vendite. Dall’altro, secondo quanto denunciato dal direttore dell’’Egyptian Millers Company, Waleed Diab, dietro alla farina sussidiata dallo stato si nasconde uno scandalo in grado non solo di minare alla già precaria salute delle casse egiziane, ma anche, e soprattutto, alla credibilità dello stesso governo. Secondo Diab, il Ministero delle Forniture sarebbe profondamente coinvolto in un ciclo di corruzione che ha fatto guadagnare almeno 2 miliardi di lire egiziane (255 milioni di dollari) a ciascuna delle società a cui il ministero si appoggia per comprare farina egiziana.
Dal momento che il prezzo pagato dallo stato per la farina egiziana è maggiore – in quanto sussidiato – di quello pagato per la farina importata, molti fornitori locali avrebbero infatti venduto al Ministero grandi quantità di farina importata, mentre quest’ultimo avrebbe coperto lo scandalo diffondendo cifre riguardanti un raccolto straordinariamente superiore alla media. Nel dettaglio, il Ministero ha riportato che grazie a una crescita della produzione agricola nazionale, nel 2015 è stato possibile comprare 5.3 milioni di tonnellate di farina egiziana, rispetto ai 3.5 milioni degli anni precedenti – numeri surreali a detta di diversi esperti.
A tal proposito, è particolarmente eclatante è il caso della Facilitation for Agricultural Crops (FAC), fornitore locale con sede al Cairo, che secondo il giovane avvocato Ahmed Gad avrebbe dichiarato una vendita di 102,000 tonnellate di farina, quando i suoi depositi ne potrebbero contenere poco più di 10,000. Ahmed Gad è stato impiegato dell’azienda fino allo scorso settembre, quando Gad si è dimesso denunciando l’anomalia. In risposta alla sua denuncia, la FAC lo ha accusato di sottrazione illecita di documenti riservati; mentre poco dopo è stato vittima di un’aggressione a mano armata alla quale è fortunatamente sopravvissuto.
Intervistato da Reuters – che ha potuto verificare la sproporzione tra la quantità di farina venduta dalla FAC e le effettive possibilità di stoccaggio dell’azienda – il giovane ha riferito che le autorità egiziane hanno deciso di archiviare il caso. Un tempo ‘granaio di Roma’, l’Egitto è oggi il primo importatore mondiale di farina; per la quale il Cairo spende oltre tre miliardi di dollari ogni anno, perdendone almeno un quinto corruzione. Gravosa eredità delle politiche socialiste di Nasser – poi ampiamente sfruttata da Washington per creare una ‘democrazia del pane’ dipendente dalla farina americana – i sussidi sugli alimenti di prima necessità hanno sempre avuto uno stretto legame con la politica; costituendo un campo sensibile dell’economia egiziana e limitandone tanto le prospettive di crescita quanto l’autonomia dagli aiuti stranieri.
Il settore, tra i più corrotti del paese, equivale infatti al 25% della spesa pubblica ed ha rappresentato un vincolo soprattutto per coloro che, dopo Nasser, hanno guidato la transizione del paese verso un’economia di mercato. Nel 1977, quando su pressioni del Fondo Monetario Internazionale e della World Bank Anwar Sadat annunciò una riduzione della spesa pubblica – quindi tagli ai sussidi – la ‘rivolta del pane’ che seguì all’annuncio lo costrinse a tornare repentinamente sui suoi passi, ripristinando le sovvenzioni. Da quel momento, nessun presidente egiziano ha mai più osato toccare i sussidi sugli alimenti di prima necessità, e ciò è originato in un controverso rapporto d’interdipendenza tra il governo e gli strati più poveri della popolazione.
In altre parole, se l’inabilità del governo di gestire efficacemente i sussidi poteva originare in ampie proteste popolari – come contro Sadat – la capacità di aumentarne la portata, anche solo con misure più simboliche che strutturali, poteva ‘sedare’ provvisoriamente il malcontento; come in occasione dello sciopero del 6 aprile 2008, quando Mubarak riuscì a ritardare di tre anni la propria fine proprio aumentando i sussidi. Fino ad ora, le riforme introdotte dal generale Al-Sisi hanno migliorato l’accesso delle fasce più basse della popolazione ai beni di prima necessità, arginando una potenziale fonte di malcontento. Ma con un sistema di sussidi pubblici tanto necessario alla stabilità del paese quanto insostenibile per le sue casse, se il Generale vorrà diminuire la propria dipendenza da aiuti stranieri – sauditi soprattutto – senza incorrere in nuove proteste, non gli resterà altra scelta che sconfiggere la corruzione. Nena News
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