Parzialmente sbloccato il congelamento agli aiuti al Cairo: in arrivo 10 Apache. Il Congresso vuole le prove della transizione democratica, ma il Paese è schiavo della repressione.
AGGIORNAMENTO 1 MAGGIO 2014 – EGITTO, GLI USA SOSPENDONO DI NUOVO GLI AIUTI MILITARI
Dopo aver optato per lo scongelamento degli aiuti militari all’Egitto, martedì è giunto un nuovo stop al trasferimento da parte del Senato degli Stati Uniti. Il presidente del comitato del Senato responsabile per gli aiuti esteri, Patrick J. Leahy, ha deciso di non approvare l’invio di 650 milioni di dollari in aiuti militari al governo egiziano dopo la sentenza di morte a cui sono stati condannati 683 sostenitori dei Fratelli Musulmani (tra cui il leader Mohammed Badie).
La settimana scorsa il segretario di Stato Kerry aveva annunciato l’invio di aiuti finanziari e di 10 elicotteri Apache alle autorità egiziane, nonostante le difficoltà nell’intraprendere un percorso di pacificazione interna e democratizzazione e le palesi violazioni dei diritti umani commesse dopo la deposizione del presidente Morsi contro le diverse forme di protesta.
dalla redazione
Roma, 23 aprile 2014, Nena News – Nonostante la mancata pacificazione interna, la dura repressione dell’attuale governo contro oppositori e Fratelli Musulmani e l’assenza di strategie economiche e politiche per uscire dalla recessione, Washington decide di “perdonare” l’Egitto: ieri il segretario alla Difesa Chuck Hagel ha annunciato la ripresa dell’invio di equipaggiamento militare al Cairo, sospendendo in parte lo stop agli aiuti deciso dopo la deposizione del presidente Morsi.
Dagli Stati Uniti saranno inviati in Egitto dieci elicotteri Apache, nell’obiettivo – spiega il Pentagono – di combattere il terrorismo nella Penisola del Sinai: “Crediamo che questi nuovi elicotteri aiuteranno il governo egiziano a contrastare gli estremisti che minacciano la sicurezza statunitense, egiziana e israeliana. Questo è uno degli elementi degli ampi sforzi del presidente per lavorare con i partner della regione e costruire la loro capacità di contrastare gli estremisti”, ha commentato il portavoce del Pentagono, John Kirby. Nel frattempo, il segretario di Stato Kerry sta lavorando per portare al Congresso le prove che l’Egitto è ormai rispettoso dei criteri previsti da Washington per la ripresa degli aiuti finanziari e militari. Tra questi, il rispetto del trattato di pace con Israele, ma anche una maggiore libertà di parola e espressione richieste dal Congresso per il via libera agli aiuti militari, 1.3 miliardi di dollari l’anno secondo gli accordi pregressi.
Secondo una legge dello scorso anno, infatti, l’amministrazione di Washington deve dimostrare che l’Egitto rispetta i termini dell’accordo del 1979 con Israele per poter ricevere i primi 975 milioni di dollari. Il resto viene sbloccato nel momento in cui si attesta che l’Egitto ha compiuto progressi nella transizione democratica e il rispetto dei diritti umani.
Per ora resta sospeso l’invio dei jet F-16 della Lockheed Martin, in attesa che Il Cairo “segua i suoi obblighi di transizione verso la democrazia e conduca elezioni libere, giuste e trasparenti”. Richiesta dal sapore amaro per i 529 membri dei Fratelli Musulmani condannati a morte nel maxi processo contro il movimento islamista. Amara anche per tutti i critici del regime attuale e del ministro della Difesa – e possibile futuro presidente – Al Sisi. All’inizio di aprile una nuova stretta legislativa, ufficialmente volta a reprimere le ondate di attentati terroristici nella capitale e nel Paese, sembrano in realtà dirette a soffocare ogni forma di protesta. Presi di mira anche gli imam: il governo ne ha rimossi 12mila, autorizzandone 17mila non invisi all’esecutivo a officiare i sermoni del venerdì. Target del governo sono anche i giornalisti, accusati di attacco alle forze armate o di connivenza con la Fratellanza.
In un simile clima di repressione, la decisione USA di sbloccare gli aiuti militari sembra l’ennesimo tentativo – riuscito – di mettere sotto la propria ala anche questo regime egiziano. Washington ci ha messo ben poco a scaricare l’alleato trentennale Mubarak per saltare sul carro del vincitore Morsi, per poi dimenticarlo in fretta nonostante fosse stato eletto democraticamente dal Paese. Oggi in voga è tornato l’esercito e il suo più alto rappresentante, Al Sisi. Agli Stati Uniti serve controllare anche questo regime. E per farlo comincia con gli Apache. Nena News