Iniziato il trasferimento di 500 prigioniere nel nuovo complesso penitenziario, lontano centinaia di chilometri dal Cairo. Nessuna notifica alle famiglie, per cui fare visita alle detenute ora sarà ancora più difficile. Prosegue così l’allargamento della rete carceraria egiziana, incrementata del 30% sotto il regime di al-Sisi
della redazione
Roma, 18 marzo 2022, Nena News – Non è stato annunciato pubblicamente dal governo né comunicato ai familiari, a renderlo noto sono stati due avvocati egiziani all’agenzia indipendente Mada Masr, in condizione di anonimato: nei giorni scorso l’Autorità carceraria egiziana ha iniziato il trasferimento di circa 500 prigioniere dalle carceri del Cairo e Alessandria al nuovo complesso di Wadi al-Natrun, nel governatorato di Beheira.
Gli avvocati lo hanno saputo perché lo staff della prigione femminile di Qanater gli hanno riferito del trasferimento, tra sabato e domenica scorsi, verso la nuova prigione. Nessun dettaglio né comunicazioni alle famiglie che hanno solo raccontato di aver visto undici veicoli uscire dalle mura carcerarie. Alle prigioniere è stato concesso di portare con sé solo una coperta – ha scritto sui social l’avvocato Ahmed Helmy -, spetterà alle famiglie raccogliere i loro effetti personali e portarli nel nuovo luogo di detenzione, lontano centinaia di chilometri.
Le visite familiari vengono rese così ancora più difficili e tortuose, una violazione – ricordano i legali – degli standard previsti dalle Nazioni unite, che considerano punizione collettiva le lunghe distanze tra famiglie, legali e prigionieri. Nei prossimi giorni, pare, saranno trasferite a Wadi al-Natrun altre prigioniere attualmente detenute a Borg al-Arab e in attesa di processo. Eppure il ministero degli interni egiziani non ha mai ufficialmente annunciato l’apertura del nuovo complesso o comunicato l’avvio dei trasferimenti.
Si pensa che lo spostamento delle donne sia dettato dall’intenzione di incrementare i posti per i prigionieri uomini nelle altre carceri: visto l’elevatissimo numero di prigionieri politici – se ne stimano tra 60mila e 100mila, da sei a dieci volte tanto la media del regime di Hosni Mubarak – gli spazi mancano e le celle sono già sovraffollate e invivibili. Negli ultimi mesi alcune sezioni della mega prigione di Tora, al Cairo, tra le più temute per le disumane condizioni di vita, sono state svuotate.
Lo scorso settembre, a seguito delle proteste (flebili) statunitensi per bocca del segretario di Stato Antony Blinken sulla situazione dei diritti umani in Egitto, Washington aveva deciso di trattenere una quota degli aiuti militari annualmente versati all’Egitto: 130 milioni di dollari, un decimo del totale pari a 1.3 miliardi di dollari (pur continuando a vendere armi, le ultime risalgono a fine gennaio con l’approvazione da parte dell’Amministrazione Usa di una vendita da 2,5 miliardi di dollari in armi, comprensiva di 12 aerei Super Hercules C-130 e relativo equipaggio e sistemi di difesa aerea).
Proprio a settembre, però, anche a seguito delle critiche dell’alleato, il governo egiziano aveva annunciato la costruzione di un istituto penitenziario «in stile americano», a cui ne seguiranno «altri sette o otto»: «Anche se una persona ha commesso un crimine, non deve essere punita due volte. I prigionieri sconteranno la loro sentenza in modo umano: movimento, sussistenza, sanità, servizi umanitari e culturali», aveva detto il presidente al-Sisi.
Sotto il suo regime, il numero delle carceri in Egitto è aumentato del 30%, 27 le nuove prigioni aperte per un totale di 79 istituti penitenziari sparsi per il paese. Nena News