Cacciato un anno fa dalle proteste di piazza, ritorna il già tre volte primo ministro vicino ai sauditi. Ok da Stati Uniti e Onu. Inascoltato il movimento popolare
della redazione
Roma, 23 ottobre 2020, Nena News – Chi non muore si rivede. Il famoso detto sembra calzare alla perfezione per Saad Hariri scelto ieri per la quarta volta come capo del governo libanese. Nelle consultazioni tenute dal presidente Aoun, il leader del Movimento Futuro – uomo vicino ai sauditi – ha ottenuto 65 voti a favore, tra cui quello degli sciiti di Amal e dei drusi del Partito socialista progressista.
Gli astenuti sono stati 53. Tra questi, quelli del partito del Movimento patriottico libero guidato da Bassil (genero del presidente Aoun), le Forze libanesi e soprattutto Hezbollah che pure aveva spinto per un ritorno del leader sunnita. Hariri torna al governo esattamente un anno dopo che si era dimesso a causa delle proteste di massa di migliaia di libanesi iniziate il 17 ottobre. Allora motivò il suo passo indietro dicendo che i suoi sforzi per trovare un accordo sulle riforme necessarie per fare uscire il Paese dalla crisi economica e sociale erano giunte ad un punto morto e pertanto soltanto “un grande shock” come quello rappresentato dalle sue dimissioni avrebbe potuto interrompere l’impasse.
La manifestazioni contro l’intera classe dirigente al grido di “Tutti loro [i politici] significa tutti” però non si sono fermate con il suo “sacrificio”. Anzi, sono continuate con sempre più vigore per mesi. Mesi difficili per uno stato ormai nel baratro sotto ogni parametro, a partire da quello politico: emblematico il fatto che da un anno che il Paese dei Cedri è incapace di formare un governo che possa spingerlo fuori dalla crisi. Hanno fallito in questa missione sia un accademico che un diplomatico: i loro tentativi di mettere su governi di “esperti” sono naufragati miseramente dopo poche settimane.
E così il mondo politico locale in palese difficoltà, pur spaccato come ha evidenziato il voto di ieri, si è affidato all’usato sicuro Hariri per superare la bufera finanziaria, sociale ed economica (drammatico l’aumento della povertà) che la devastante esplosione nel porto di Beirut a inizio agosto (circa 200 morti e oltre 7.000 feriti) ha aggravato. Dopo essersi definito il “naturale candidato per guidare il Libano”, ieri Hariri, figlio dell’ex primo ministro e ricco uomo d’affari Rafiq Hariri assassinato nel 2005, ha promesso di “formare un governo di specialisti, senza membri di partito, il cui compito sarà quello di implementare le riforme economiche, finanziarie e amministrative richieste dall’iniziativa francese”. Il riferimento è al presidente Macron che, soprattutto da agosto dopo la sanguinosa deflagrazione nella capitale, con fare coloniale detta a Beirut i compiti da svolgere per poter accedere gli aiuti internazionali. Macron – da sempre sostenitore di Hariri che è anche cittadino francese e saudita – sostiene che le riforme siano necessarie affinché il Libano ottenga i 253 milioni di euro stanziati dopo l’esplosione di agosto.
Ma resta da capire innanzitutto se effettivamente riuscirà a formare un esecutivo solido. La strada di certo non è in discesa. Il rifiuto dei due principali partiti cristiani, il Movimento patriottico libero (Fpm) di Bassil e i loro rivali delle Forze Libanesi, non è sicuramente una buona notizia (per quanto ampiamente prevista). Resta da capire come agirà Hezbollah, la formazione sciita filo-iraniana. Il Partito di Dio, prima forza politica del Paese e a capo del blocco “Alleanza dell’8 marzo” ostile a quello anti-siriano guidato da Hariri (“Alleanza 14 marzo”), non ha nominato ieri nessuno alla guida del Paese ma ha detto che lavorerà “positivamente” per la formazione di un nuovo governo.
Hariri, intanto, ha già incassato il sostegno del segretario statunitense per gli Affari nel Medio Oriente Shenker che ha ribadito l’appoggio garantito lunedì al telefono dal Segretario di Stato Pompeo ad Aoun. “A patto” – ha però precisato Washington – che si risolva la “questione Hezbollah”, nemici giurati degli Usa in quanto filo-iraniani. Nella visione della Casa Bianca c’è la normalizzazione dei rapporti tra Libano e Israele sulla scia di quanto già sta avvenendo per molti altri paesi arabi. Sostegno per Hariri è poi giunto anche dal Coordinatore speciale Onu per il Libano Kubis che ha invitato le forze politiche locali a stringersi intorno al neo-premier per avviare il processo di riforme.
Inascoltate, invece, restano le voci di migliaia di libanesi che dopo un anno di lotte si ritrovano nei fatti punto a capo. Basta vedere le tre principali cariche libanesi da chi sono ricoperte: Aoun, Hariri e Berri (presidente del Parlamento). Lo stesso triumvirato di un anno fa: una beffa per i tanti che in Libano sognano un Paese libero da qualunque settarismo e chiedono con forza la rimozione dell’intera classe politica corrotta. Nena News