La multiforme società gazawi raccontata attraverso l’arte e la pittura, per andare oltre gli stereotipi che appiattiscono la Striscia su una narrativa di distruzione e violenza. Il lavoro del gruppo di artisti Shababik e di Fotografi Senza Frontiere, incontro organizzato dal Centro italiano Vik
di Patrizia Cecconi
Siena, 16 dicembre 2017, Nena News – Mentre il “geniale” Trump lanciava il suo regalo avvelenato a Israele contro i diritti del popolo palestinese e contro il diritto internazionale, in una piccola città italiana ricca di fascino e di grande bellezza, con il patrocinio del Comune e dell’Università, si svolgeva “Arte contro il muro” un importante progetto culturale articolato in dieci giorni e conclusosioggi con la chiusura delle mostre, interne al progetto stesso, esposte nei locali di Santa Chiara Lab dell’Università di Siena.
Del resto quale città meglio di Siena avrebbe potuto accogliere una tale iniziativa, visto che questa è anche la prima città sede di scambi universitari grazie al progetto Erasmus+ che ha visto animatore e realizzatore il Centro italiano di scambi culturali Vik diretto da Meri Calvelli.
La manifestazione si è aperta il 5 dicembre con la presentazione del programma “Arte oltre il muro – Autorappresentazione e racconto del popolo palestinese”. In video-conferenza i tre pittori gazawi di cui sono state esposte le opere (Basel El Maqousi, Shareef Sarhan e Majed Shala, fondatori nel 2003 del collettivo Shababik)e in sala due membri di Fotografi Senza Frontiere (Sergio Lo Cascio e Gino Bianchi) di cui pure è stata esposta un’interessante retrospettiva fotografica, che il giorno seguente hanno incontrato gli studenti (comprese alcune classi di istituti superiori) per raccontare metodi, scopi ed esperienze della loro associazione che ormai compie vent’anni.
Meri Calvelli, co-animatrice dell’iniziativa, e le due bravissime studentesse Marta Lonzi e Valeria Palleschi dell’associazione Link Siena hanno offerto al numeroso pubblico – composto, tra gli altri, dai docenti che hanno visitato Gaza per il progetto Erasmus+ e da numerosi studenti – la chiave di lettura per comprendere la complessa e multiforme realtà della società gazawi, generalmente offuscata dagli stereotipi mediatici.
Come ben spiegato, la Striscia di Gaza esce da quegli stereotipi e la resilienza dei gazawi si afferma anche e forse soprattutto attraverso diverse forme artistiche. Il progetto, infatti, riprendendo le parole delle curatrici “nasce con l’intento di riportare l’attenzione su un contesto culturale e sociale attraversato da complesse tensioni politiche, ma allo stesso tempo caratterizzato da uno spirito resiliente che permette agli abitanti di Gaza di affrontare con dignità e consapevolezza la vita quotidiana”.
“L’autorappresentazione e racconto del popolo palestinese”, obiettivo dell’incontro con i tre pittori, ha dato la dimensione dell’espressione artistica come strumento di denuncia narrante attraverso i colori dell’arte, così come altre forme artistiche letterarie e poetiche lo sono state e lo sono attraverso le parole o, altre ancora, attraverso la musica.
Come scritto dal pittore Basel e inviato come saluto agli organizzatori ed ai partecipanti all’incontro, la Gaza rappresentata dai media “non la riconosco, è così diversa da ciò che so e da ciò che vivo. Nei media è solo blocco, bombardamenti, esplosioni, razzi, violenza, lotta, terrore e resistenza: per me è il mio caffè la mattina, i bambini che vanno a scuola … l’ombra del sole su un fiore che sboccia, … gli scarabocchi dei ragazzini alle pareti, la piccola paura sul viso di mio figlio di 6 anni quando va via la luce e il suo sorriso timido quando accendo una torcia o una candela. Gaza… è anche le luci scintillanti sulla superficie del mare, così come i confini chiusi e le risate dei miei amici … La Gaza che conosco non è quella dei media, la Gaza che conosco è piena di vita, tutta la vita con tutto ciò che la vita può contenere, dolore, felicità, successo e fallimento, disperazione e speranza, oscurità e luce. Gaza non è in bianco e nero. A Gaza ci sono tutti i colori dell’arcobaleno…”.
I docenti italiani andati nella Striscia con Meri Calvelli, hanno potuto constatare di persona quanto ciò sia vero e quanto sia importante e diffuso l’obiettivo di promuovere istruzione e cultura nelle giovani generazioni. Sono circa 120 i programmi accademici e 20 i centri di ricerca in un territorio che è tenuto sotto assedio e vessato attraverso limitazioni di beni essenziali quali l’acqua potabile o l’energia elettrica. Questo ed altro è stato esposto nell’incontro del 12 dicembre dal prof. Usberti e dagli studenti che hanno svolto lì il loro Erasmus+ ad altri studenti dell’ateneo senese.
L’obiettivo di aprire le porte ad una mobilità che pur non riuscendo a rompere l’illegale assedio israeliano ne faccia conoscere l’assurdità e la crudeltà che oggettivamente pone Israele nel novero degli Stati fuori legge, è un inscindibile corollario degli scambi universitari.
Il video dell’artista italiana Franca Marini “Un sogno a Gaza”, proiettato dopo l’incontro, ne è una conferma, così come lo è stato il documentario “Strip life” proiettato nella seconda giornata del programma. Interessante, a proposito di questa proiezione, è stata la reazione di alcuni presenti in sala i quali hanno fatto notare proprio quello che gli artisti hanno confermato, e cioè che Gaza non è – nonostante tutto – solo disperazione o vaga speranza, ma ha una pluralità di reazioni, addirittura gioiose,che non cancellano certo i crimini israeliani e le loro conseguenze, ma mostrano la vera forza di questo popolo, capace di affermarsi nelle più diverse forme vitali e, laddove non ce la fa, perché povertà e degrado fan prevalere la disperazione, arriva la forza dell’esempio come una sorta di terapia sociale che indirettamente invita a resistere.
Ecco perché un’esperienza come quella promossa dal Centro italiano Vik, esperienza cui neanche il più becero articolista di fogli e fogliacci può negare il contenuto assolutamente non-violento, diventa particolarmente importante.
I due esponenti di Fotografi Senza Frontiere, nel loro spiegare che fotografare non è “il semplice guardare nell’obiettivo, ma è atto creativo”, è il “relazionarsi con il mondo circostante mettendo in gioco le proprie certezze e il proprio modo di guardare il mondo”, hanno fornito agli studenti unulteriore supporto al discorso complessivo sotteso al progetto.
Sostenere l’arte, la cultura, le tradizioni che puntellano la memoria storica e antropologica e, al tempo stesso, denunciare i crimini israeliani è ciò che questo e simili progetti riescono a fare. Sicuramente molto meglio di denunce-accuse di perversione della comunità gazawi come quelle pubblicate ultimamente dallo psicologo arabo-israeliano Mansour – ci si permetta di esprimere un dubbio se non sulla sua buona fede, almeno sulla poca attendibilità dell’attribuzione all’intera Striscia dei risultati tratti dal campione studiato – il quale, mentre in teoria accusa Israele di aver ridotto la Striscia a un inferno per i bambini gazawi, in realtà dà un’immagine, assolutamente inattendibile, di una diffusa perversità e crudeltà degli adulti nei loro confronti.
Non è così. Lo sa bene chi c’è stato per qualche mese e lo sa ancora meglio chi ci sta da molti anni e, non a caso, promuove progetti come questo. Progetto che l’Università e la città di Siena hanno accolto tentando di facilitare quel processo di mobilità capace di far conoscere la Gaza autentica, nel bene e nel male, quella che il pittore Basel vorrebbe mostrare al mondo. Nena News
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