I massimi giudici israeliani hanno cancellato ieri l’ordine di detenzione amministrativa contro l’avvocato palestinese in sciopero della fame da oltre due mesi. Resterà in ospedale ma dovrà essere trattato come qualsiasi altro paziente.
Manifestazione in solidarietà con Mohammed Allan a Bir Saba (Beer Sheva) (Foto: AMIR COHEN / Reuters)
AGGIORNAMENTO 20 agosto 2015 – ore 9
Mohammed Allan sarà liberato. Lo ha deciso ieri sera la Corte Suprema israeliana che ha cancellato l’ordine di detenzione amministrativa contro l’avvocato palestinese in sciopero della fame da oltre due mesi. Resterà – dice la Corte – in ospedale “a causa delle sue condizioni mediche”. Allan, a causa dello sciopero, era entrato in coma per risvegliarsi all’inizio della settimana, in tempo per rifiutare l’ultima proposta delle istituzioni israeliane, ovvero la deportazione per quattro anni fuori dal paese. Ma, specificano i giudici, “l’ordine di detenzione amministrativa non è più operativo” e Allan dovrà essere trattato come qualsiasi altro paziente: potrà ricevere visite dei familiari e non potrà essere legato al letto.
AGGIORNAMENTO 18 agosto 2015 – ore 8.30
Ieri le autorità israeliane hanno offerto all’avvocato palestinese Mohammed Allan, in sciopero della fame da 62 giorni e in gravissime condizioni di salute, di rilasciarlo a patto di venir deportato fuori dal paese per 4 anni. Una richiesta che l’avvocato di Allan ha subito rigettato: “Rifiutiamo categoricamente questa proposta”, ha detto il legale Jamil al-Khatib. Contrario anche il Ministero palestinese per gli Affari dei Prigionieri: il ministro Issa Qaraqe ha ricordato che il suo dicastero rifiuta la deportazione “in tutte le sue forme”, in quanto violazione del diritto internazionale.
Si resta in attesa della decisione della Corte Suprema israeliana su un eventuale rilascio senza condizioni. La Corte dovrebbe pronunciarsi domani, dopo – dicono – aver valutato la scheda medica di Allan che sta scioperando da due mesi contro l’ordine di detenzione amministrativa che lo costringe in prigione senza accuse né processo. A causa dello sciopero Allan la scorsa settimana è entrato in coma: secondo le autorità palestinesi, i medici israeliani stanno prolungando artificialmente la vita dell’avvocato con “metodi non etici”.
AGGIORNAMENTO 17 agosto 2015 – ore 10.30
I giudici della Corte Suprema israeliana esaminano oggi una richiesta di scarcerazione per motivi di salute presentata dai legali dell’avvocato palestinese in “detenzione amministrativa” dallo scorso novembre e che attua uno sciopero della fame in segno di protesta da 61 giorni. Venerdì scorso è entrato in coma ed è in pericolo di vita. Manifestazioni di solidarietà si ripetono da giorni ovunque in Cisgiordania. Ieri ad Ashkelon, nei pressi dell’ospedale Barzilai dove Allan è ricoverato, scontri tra estremisti di destra israeliani e dimostranti palestinesi. Violenze della polizia che ha arrestato almeno 13 persone.
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di Michele Giorgio - Il Manifesto
Gerusalemme, 15 agosto 2015, Nena News – Le condizioni dell’avvocato palestinese Mohammed Allan, incarcerato lo scorso novembre da Israele e in sciopero della fame da due mesi, erano peggiorate qualche giorno fa. Ieri mattina ha perduto coscienza, facendo temere il peggio. Nel pomeriggio i medici dell’ospedale Barzilai di Ashkelon, dove Allan è ricoverato da alcuni giorni, sono riusciti a stabilizzare le sue condizioni. Ma in serata era cosciente solo in parte.
La notizia ha subito fatto il giro dei Territori occupati palestinesi suscitando reazioni forti. A cominciare dal Jihad Islami, organizzazione di cui Allan sarebbe un simpatizzante o, come sostiene Israele, un militante a tutti gli effetti. Sino ad oggi però i servizi segreti israeliani non hanno prodotto alcuna prova concreta a sostegno di questa tesi. «Dovesse morire Allan, il Jihad reagirà con forza e non si sentirà più vincolato ad alcun accordo per il mantenimento della calma», ha fatto sapere l’organizzazione islamista, rivolgendosi non solo al governo Netanyahu ma anche ad Hamas che, stando alle voci che girano, avrebbe raggiunto dietro le quinte un’intesa con Israele per evitare nuove escalation belliche. Un accordo che il movimento islamico ha imposto alle altre formazioni palestinesi presenti a Gaza.
Il caso di Mohammed Allan è seguito da tutta la popolazione palestinese. Manifestazioni e raduni si sono svolti ovunque. Venerdì mattina a Gerusalemme, durante le preghiere islamiche, decine di palestinesi hanno scandito slogan sulla Spianata delle moschee per chiedere la sua liberazione immediata. Altri si sono radunati davanti all’Ospedale Barzilai. Per contrastare le proteste palestinesi è scesa in campo la destra israeliana più radicale. Mercoledì scorso un leader dei coloni, Baruch Marzel, ha guidato una contromanifestazione per bloccare 200 avvocati palestinesi che in strada, poco lontano, esprimevano solidarietà al loro collega.
Originario di Einabus (Nablus), Allan attua uno sciopero della fame totale da 60 giorni, per protestare contro la “detenzione amministrativa”, senza processo e capi di accusa precisi, che lo tiene in carcere in Israele dallo scorso novembre. Ha rifiutato qualsiasi trattamento medico, vitamine o minerali, spiegando che l’unica cosa di cui ha bisogno è la libertà. Una nuova legge approvata dalla Knesset permetterebbe al governo di chiedere al personale medico del Barzilai di alimentarlo con forza. Ma il comitato etico dei medici israeliani si oppone ad una misura che i centri per i diritti umani descrivono come una forma di tortura. Per questo al Barzilai non sono andati oltre la somministrazione endovenosa di farmaci salva-vita e soluzioni saline che non lo hanno alimentato, rispettando il volere che il detenuto aveva espresso nei giorni scorsi. Le condizioni di Mohammed Allan restano critiche, la madre lo considera già uno shahid, un “martire”. Ha perduto in parte la vista a causa del lungo digiuno. Dovesse morire in carcere, i Territori palestinesi occupati si trasformeranno in campi di battaglia.