Re Abdallah II di Giordania ha avvertito che se Israele avanzerà il suo piano entrerà in conflitto politico e diplomatico con il regno hashemita. Una rottura del trattato di pace tra i due paesi è da escludere ma Amman fa sul serio
di Michele Giorgio
Gerusalemme, 28 maggio 2020, Nena News – Benyamin Netanyahu a inizio settimana, parlando ai suoi compagni di partito, il Likud, ha ribadito di voler dare al più presto il via alla Knesset all’iter legislativo dell’annessione a Israele della Valle del Giordano e di altre larghe porzioni di Cisgiordania. Non è detto che le cose vadano secondo i tempi che si è dato il premier israeliano. Le voci contrarie non cessano e se Netanyahu ignora le proteste palestinesi non può fare altrettanto con altre parti che contestano i suoi propositi che rappresentano una violazione grave della legalità internazionale.
La Giordania, ad esempio, che pure è un’alleata di Israele nelle questioni di sicurezza regionale – a cominciare dalle misure restrittive a danno dei palestinesi -, condanna a voce alta le intenzioni di Netanyahu. A metà mese il re hashemita, Abdallah II, ha lanciato un attacco durissimo al progetto di annessione. In un’intervista a Der Spiegel, Abdallah ha avvertito che se Israele avanzerà il suo piano entrerà in conflitto politico e diplomatico con il regno. Quando il giornale gli ha chiesto se reagirà congelando il trattato di pace con lo Stato ebraico, Abdallah ha risposto che sta valutando tutte le opzioni.
Una rottura delle relazioni tra Tel Aviv e Amman è da escludere ma la Giordania da tempo è allarmata dalle mosse unilaterali di Netanyahu e di Donald Trump. Se crollasse l’Autorità nazionale palestinese (Anp) a causa del piano di annessione, ha messo in guardia re Abdallah, si arriverebbe «al deterioramento, al caos e alla radicalizzazione nella regione. Concordiamo con molti paesi in Europa e con la comunità internazionale che la legge della forza non deve applicarsi in Medio Oriente».
Gli Hashemiti puntano sulla nascita dello Stato di Palestina, piccolo ma sovrano, in modo che, si augurano, si realizzi l’aspirazione dei palestinesi all’indipendenza. Altrimenti, temono, quelle aspirazioni potrebbero rivolgersi verso la Giordania, con una popolazione di origine palestinese almeno al 50%. Alla destra israeliana non dispiacerebbe, anzi. L’Opzione giordana, così come è nota questa soluzione, era in voga tra i leader israeliani, tra gli anni ’70 e ’80. A chiuderla nel cassetto furono la prima Intifada palestinese e gli Accordi di Oslo che il 4 maggio 1994 diedero vita all’Anp.
L’Opzione giordana ora riemerge dall’oblio, re Abdallah è infuriato e l’Amministrazione Usa deve tenerne conto. Anche per questo Washington ha ingranato la marcia bassa. Il segretario di stato Mike Pompeo, durante la sua recente visita a Gerusalemme, non ha dato il via libera dell’Amministrazione all’annessione immediata che si attendeva Netanyahu. E la portavoce del Dipartimento di Stato, Megan Ortagus, ha affermato che le mosse israeliane dovrebbero essere discusse nel contesto di colloqui con i palestinesi.
Il Consiglio affari esteri dell’Unione europea da parte sua nella sua ultima riunione ha discusso di possibili risposte all’annessione. Alcuni ministri hanno suggerito che l’Ue inizi ad indicare i progetti congiunti con Israele che potrebbero essere danneggiati dai piani di Netanyahu. Quello della Bulgaria ha proposto di invitare al prossimo incontro il futuro capo della diplomazia israeliana, Gabi Ashkenazi. Altri ipotizzano sanzioni ma considerando i rapporti stretti che Israele vanta con alcuni Stati membri dell’Ue, non si arriverà in alcun caso a questa soluzione. Nena News
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