Quattro anni dopo la cacciata dell’Isis dalla città irachena, la società civile è al lavoro per ricostruirla. Di fronte ha un apparato statale corrotto e divisivo e organizzazioni internazionali che promuovono interessi diversi da quelli della popolazione, trascurando le radici del conflitto
di Schluwa Sama
Traduzione di Emiliano Zanelli
Roma, 19 agosto 2021, Nena News – Quattro anni dopo la fine dell’occupazione della città di Mosul da parte di Daesh, iniziata nel 2014 e conclusasi nel 2017, un coraggioso attivismo civile si è sviluppato nel contesto di un apparato statale corrotto e autoritario da un lato e delle organizzazioni internazionali di sviluppo dall’altro. Come si sono organizzati questi attivisti e queste attiviste a Mosul e quali sono le loro attività e i loro obiettivi?
Come funzionino le istituzioni statali e come siano percepite dai Muslawi, gli abitanti della città, può essere ben compreso attraverso le esperienze dell’infermiera Sroor Helal. Insieme ad altri attivisti ed altre attiviste, Helal ha fondato il “Team Sroor” (Fariq Sroor) a Mosul. Una delle loro prime campagne ha ricevuto un’attenzione speciale: il Team Sroor ha rimosso cadaveri, soprattutto di combattenti dell’IS, dalla città vecchia di Mosul.
In un’intervista Sroor mi ha raccontato che questi corpi giacevano ancora nella città vecchia di Mosul e anche nel fiume Tigri un anno dopo la vittoria contro Daesh. Era preoccupata per le conseguenze sulla salute degli abitanti di Mosul.
Dalla città nessun supporto per il “Team Sroor”
Quando si è messa in contatto con il Comune, erano sovraccarichi di lavoro e non volevano assumersi il compito. Il Team Sroor ha poi chiesto il permesso al comune di recuperare autonomamente i corpi dalla città vecchia. L’amministrazione non si aspettava che Sroor fosse seria: “Pensavano che, in quanto donna, sarei stata troppo spaventata per portare via dei cadaveri. La mattina presto io e il mio gruppo eravamo pronti, e loro erano sorpresi”.
Quando Sroor ha iniziato questo compito, si è guadagnata rispetto e ammirazione tra molti Muslawi e altre persone si sono unite al Team Sroor. “All’inizio eravamo sei persone e alla fine eravamo 40-50 attivisti e attiviste. Così siamo stati in grado di recuperare 20-30 cadaveri al giorno. È stata la responsabilità verso la nostra città e la nostra comunità che ci ha spinto a fare questo lavoro”.
In questo caso, lo Stato ha concesso il permesso dopo lunghe procedure burocratiche, solo per poi dichiarare illegale lo sgombero dalla Città Vecchia dei cadaveri, al termine dell’azione. Sroor spiega come, durante una serie di dibattiti in onda sulla Deutsche Welle, ci sia stato un confronto in diretta con il sindaco, il quale sosteneva che non ci fossero cadaveri nella Città Vecchia. Quando lei lo ha contraddetto, lui ha minacciato di arrestarla.
Le è stato proibito di continuare il suo lavoro ed è stata inviata una squadra da Baghdad per continuare il lavoro. È stata ordinata un’inchiesta giudiziaria e lei è stata condannata a cinque anni di prigione. Solo dopo la pressione dell’opinione pubblica e la raccolta di 5.000 firme per il suo rilascio, Sroor è tornata in libertà.
Azioni di questo genere, compiute da politici corrotti, non sono casi isolati. Sono dovute a decisioni arbitrarie, strutture di potere autoritarie, ostacoli burocratici opachi e corruzione nello Stato iracheno. Le fondamenta di questo sistema politico-settario sono state poste dopo l’invasione statunitense; le cariche politiche sono state assegnate secondo l’etnia o l’affiliazione religiosa attribuite alle persone.
Gli abitanti di Mosul sono stati dichiarati collettivamente sunniti e come tali sono stati sistematicamente emarginati e politicamente sottorappresentati nel nuovo sistema. I movimenti di protesta civile che, dopo il 2003, chiedevano posti di lavoro e la fine della corruzione sono stati soppressi. La famosa Rivoluzione d’Ottobre del 2019, che ha avuto luogo principalmente a Baghdad e in varie città del sud dell’Iraq, non poteva avere luogo nella devastazione di una Mosul post-bellica.
“Ma questo non significa che la gente di Mosul non abbia sostenuto la rivoluzione. Qui la supportiamo tutti”, dice Ayub, un attivista civile e farmacista di Mosul. A Mosul, con una città vecchia distrutta al 90%, c’erano altre cose da fare. Ayub ha vissuto nella città vecchia sotto l’occupazione dell’IS, a volte assistendo 100 persone in un giorno.
Spiega come il prezzo di un cucchiaio di latte sia salito a 1000 dinari (circa un euro) e i bambini facevano la fila per quattro chicchi di uva sultanina. Racconta come ha nascosto il suo cellulare, il cui possesso era proibito, dentro a una presa elettrica fino a quando Daesh è stato sconfitto. Ha scritto un diario per mantenere la mente lucida e per documentare la sua vita quotidiana: “Ho pensato che nessuno avrebbe creduto a quello che stava succedendo qui”.
Dopo la fine dell’occupazione ci sono stati appelli sui social media per ripulire la città. “Non ci aspettavamo nulla dallo Stato e infatti non è successo nulla per quanto riguarda la ricostruzione. Così, in quanto giovani, ci siamo organizzati”, dice Ayub.
“Ho lanciato un appello affinché chiunque avesse un danbar (parola irachena per indicare un veicolo che può trasportare detriti) lo portasse, ed è così che ripuliamo la città vecchia. All’inizio ne avevamo qualche centinaio. Ogni giorno diventavano di più, finché alla fine avevamo 1000 danbar. Poi ci siamo coordinati ed è così che abbiamo rimosso le macerie”. In arabo, questa azione di pulizia è stata chiamata Thawrat al-Danbar – letteralmente “la rivoluzione dei danbar” – perché la risonanza, la presenza e la volontà dei giovani di organizzarsi a prescindere dallo Stato è stata immensa. Ayub ora gestisce il progetto Volunteer With US.
Oggi, dopo la fine dell’occupazione di Daesh, le Forze di Mobilitazione Popolare (PMU, in arabo al-Hashd-Al-Sha’bi), legalmente sottoposte al primo ministro iracheno ma nei fatti una milizia fedele all’Iran, hanno preso il potere militare e politico a Mosul. Hanno istituito decine di posti di blocco in città. Gli attivisti musulmani criticano le PMU perché usano il proprio potere per trarre profitto, per esempio dichiarando edifici vuoti loro proprietà o esigendo soldi per la protezione dalle imprese.
Il ruolo delle ong internazionali
In un contesto in cui lo Stato ha poca legittimità tra la popolazione, è inefficace, porta avanti lentamente la ricostruzione di Mosul, fa sparire i fondi per la ricostruzione, non offre sicurezza alla gente, ma agisce con la violenza, molti attivisti e molte attiviste hanno riposto la loro speranza nelle munathamat (organizzazioni) – con ciò intendendo le ong internazionali (Ingo) e le agenzie governative di sviluppo come USAID (United States Agency for International Development). Sono efficienti, forniscono servizi di base, spesso hanno grandi budget e guidano la ricostruzione.
Allo stesso tempo, le agenzie di sviluppo sembrano portare con sé la loro propria agenda: ciò è evidente nella loro retorica e ricorda la narrativa di liberazione dell’esercito americano. Molte delle ong sono finanziate da USAID, l’agenzia governativa statunitense per lo sviluppo.
La parola d’ordine dell’Undp (United Nations Development Program) e dell’USAID per l’Iraq è “stabilizzazione”. Quando si tratta di attuare programmi di stabilizzazione in Iraq, l’Undp è il più grande attore, con un budget di un miliardo di dollari Usa a partire dal 2015, con cui ha finanziato oltre 3.000 progetti.
Allo stesso tempo, questo significa che l’Undp sta lavorando con agenzie irachene autoritarie, statali, per promuovere e stabilizzare un sistema che non solo è lontano dai problemi degli iracheni, ma sta anche prendendo di mira e uccidendo gli attivisti e le attiviste. Questo è diventato particolarmente evidente dopo la Rivoluzione d’Ottobre irachena.
Inoltre, le organizzazioni per lo sviluppo non attuano i loro programmi sulla base della partecipazione democratica dei Muslawi. Certo analizzano i “needs”, dunque i bisogni, che sono sorti dopo la guerra, ma nel farlo trascurano le ingiustizie strutturali che hanno portato alla guerra.
Seminari per la pace
Ne sono prova i ricorrenti “peacebuilding workshops”, come racconta Mohammed, che lavora per una ong americana. In Iraq le persone sono state suddivise in sciiti, sunniti, curdi e piccole minoranze, per poi accusare questi gruppi di non sapere come funziona la pace, in modo che le ong e le organizzazioni statali per lo sviluppo potessero dichiarare la necessità di “laboratori di costruzione della pace”.
Un’analisi storicamente ed economicamente fondata dell’emersione di Daesh e della disintegrazione dello Stato iracheno – che però, grazie agli aiuti dell’Ue e dell’Onu, dal punto di vista militare è forte abbastanza per attaccare i suoi stessi cittadini – viene completamente ignorata.
Nel corso di una passeggiata nelle rovine della città vecchia di Mosul, mi trovo con Mohammed tra una moschea distrutta e una chiesa distrutta e lui dice: “È divertente. Questi edifici sono vecchi di secoli. Per tanto tempo abbiamo vissuto così vicini l’uno all’altro, per lo più molto pacificamente. E oggi vengono loro a farci dei seminari sul significato della pace”.