La denuncia del giornale britannico Sunday Telegraph: centinaia, forse migliaia, di migranti provenienti dal Corno d’Africa rinchiusi da mesi in diversi centri di detenzione, picchiati e ridotti alla fame. Human Rights Watch: “Condizioni disumane senza alcun rispetto per la dignità delle persone”
della redazione
Roma, 1 settembre 2020, Nena News – Centinaia, forse migliaia, di migranti africani sono da mesi rinchiusi in diversi centri di detenzione in Arabia Saudita, costretti a vivere e dormire a terra, ridotti alla fame e picchiati. A denunciarlo è il quotidiano britannico Sunday Telegraph che ha pubblicato, domenica scorsa, le fotografie scattate e inviate dagli stessi migranti. Si tratterebbe di centri nelle regioni sud della petromonarchia (uno si troverebbe ad Al Shumaisi, vicino Mecca, e uno a Jazan, al confine con lo Yemen) e i migranti detenuti sarebbero per lo più etiopi, donne e uomini.
Immagini crude, terribili: decine di persone a terra, ridotte a pelle e ossa, in stanze senza finestre e sdraiati uno sull’altro. Tra le foto ricevute, ma non pubblicate dal quotidiano, anche quella di un giovane africano impiccato, suicidatosi per le impossibili condizioni di vita in cui era costretto da mesi. Un adolescente, si legge nell’articolo, di 16 anni detenuto dallo scorso aprile, secondo quanto dichiarato dai suoi amici. Altre immagini mostrano i segni dei pestaggi e delle torture sulle schiene di alcuni migranti: “Qui è l’inferno – dice uno di loro al quotidiano tramite un cellulare fatto entrare di nascosto in uno dei centri – Ci trattano come animali, ci picchiano ogni giorno. Se non c’è possibilità di fuga, mi ucciderò. Altri lo hanno fatto”.
All’inizio di agosto una denuncia simile era giunta dal Guardian: nel centro di Al Shuamisi, capace di detenere fino a 32mila prigionieri, migliaia di migranti senza documenti attendono la deportazione in condizioni disumane, costretti a bere acqua dal wc e a dormire su letti di ferro senza materassi.
Immediate le reazioni delle organizzazioni per i diritti umani: “Le foto che giungono dai centri di detenzione del sud dell’Arabia Saudita mostrano come le autorità sottomettano migranti dal Corno d’Africa a condizioni squallide e degradanti, senza alcuna attenzione per la loro sicurezza e la loro dignità”, è il commento di Adam Coogle, vice direttore di Human Rights Watch per il Medio Oriente. Che accusa: un paese ricco come l’Arabia Saudita “non ha scuse per tenere i migranti in queste deplorevoli condizioni”.
Ricco, ma mai ospitale con i lavoratori migranti, in arrivo soprattutto dal Corno d’Africa attraverso lo Yemen in guerra. Eppure rappresentano il 20% della popolazione totale del paese. Circa 6,6 milioni di persone impiegate per lo più nel settore edilizio e delle costruzioni o nelle abitazioni private come colf, sottopagati e senza diritti come avviene nel resto del Golfo e del Medio Oriente, noto per il ricorso al sistema della Kafala, dello sponsor: il migrante che arriva nel paese è sponsorizzato da un cittadino che ne diventa di fatto il proprietario, confiscando passaporti e impedendo di migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. Una forma di semi-schiavitù da anni denunciata da organizzazioni internazionali per i diritti umani.
Nel caso saudita, negli ultimi anni – da quando il principe ereditario Mohammed bin Salman ha preso le redini della petromonarchia, stringendo in un angolo re Salman – sono state realizzate una serie di riforme volte a incrementare la forza lavoro locale a scapito di quella migrante. Politiche che si sono tradotte nella deportazione forzata di decine di migliaia di lavoratori stranieri: tra gli altri migliaia gli etiopi cacciati tra il 2019 e il 2020, gli ultimi 2.870 ad aprile, oltre 27mila bengalesi lo scorso anno e altri 5.500 quest’anno.
Molti dei migranti “pronti” per la deportazione, dopo essere stati arrestati nelle varie città saudite dove lavoravano, sono stati posti in centri di detenzione come quelli denunciati dal Sunday Telegraph, con “un pezzo di pane al giorno e riso la sera, quasi senza acqua e con i bagni allagati”, come riporta un altro giovane migrante. Chiusi in migliaia per mesi dietro le sbarre dopo essere stati accusati di essere i vettori del Covid-19, di portare l’epidemia nel ricco paese del Golfo. Nena News