Secondo gli attivisti, almeno 5 persone sono state uccise in due giorni durante l’operazione sicurezza compiuta delle autorità saudite nella regione orientale del Paese. La Corte suprema, intanto, conferma la pena di morte per 29 sciiti. Human Rights Watch chiede a Riyadh di fare chiarezza sulla sorte dell’ex principe ereditario bin Nayef
della redazione
Roma, 28 luglio 2017, Nena News – Almeno cinque persone uccise in due giorni. Sarebbe questo il bilancio provvisorio dell’operazione sicurezza iniziata mercoledì da Riyadh nella città di Awamiya, nella provincia saudita orientale del Qatif.
A denunciare le violenze di questi giorni sono gli attivisti locali che hanno diffuso in rete le foto (presunte) di chi è stato ferito e ucciso negli scontri. Secondo quanto riferiscono i dissidenti – sono al momento informazioni che non possono essere verificate indipendentemente – le vittime sono tre residenti (Mohsen al-Awjami, Mohammed al-Faraj e Hussein Abu Abdallah) e due lavoratori stranieri le cui generalità non sono ancora note.
Un parente di Awjami ha raccontato alla Reuters che il suo familiare ritornava a casa da lavoro quando è stato raggiunto dai proiettili sparati dalle forze dell’ordine. “Quando è uscito dalla macchina, è stato colpito da una pallottola all’addome. E’ rimasto lì per un’ora e mezza, due ore prima che le persone lo potessero aiutare e chiamare un’ambulanza. Ora è all’obitorio dell’ospedale Qatif”. Versione su cui non c’è alcuna conferma ufficiale perché ad avere la bocca cucita non sono solo gli agenti, ma anche lo stesso nosocomio che ha fatto sapere di non essere autorizzato a parlare con i media.

Le tre presunte vittime degli scontri di Awamiya. Da sinistra a destra: Muhsin al-Awjami, Mohammad al-Faraj, Husain Abu Abdallah. (Fonte foto: Twitter)
La situazione nella regione produttrice petrolio del Qatif è da tempo tesissima: abitata dalla minoranza musulmana sciita del Paese che lamenta di essere discriminata, è teatro dal 2011 di proteste antigovernative (in alcuni casi armate). Le tensioni sono poi aumentate a maggio quando le autorità saudite hanno deciso di demolire alcune strutture all’interno del distretto di al-Musawara (all’interno della città vecchia) nel tentativo, afferma Riyadh, di distruggere i nascondigli dei gruppi armati. Un’operazione che ha avuto un caro prezzo in termini di vite umane: un imprecisato numero di poliziotti sauditi e di residenti sono rimasti uccisi da quando sono iniziati i lavori di demolizione.
Ieri, intanto, la Corte Suprema saudita ha confermato la pena di morte per 29 sciiti. Di questi, 14 sono accusati di aver condotto attacchi armati e 15 di spionaggio a favore dell’Iran. Ora le 29 pene di morte dovranno essere ratificate da re Salman. “Le sentenze si basano su confessioni estorte con la tortura”, hanno denunciato subito le ong per i diritti umani. Anche Amnesty International ha fatto appello al monarca perché le annulli.
Ieri, inoltre, la ong Human Rights Watch (HRW) ha chiesto a Riyadh di fare chiarezza sulle notizie pubblicate recentemente dal New York Times, dal Times e dal Guardian secondo cui l’ex principe ereditario Mohammed bin Nayef (costretto a cedere il posto a giugno a Mohammed, il figlio del re Salman) sarebbe ai domiciliari e gli sarebbe impedito di lasciare il Paese. HRW ha poi invitato Riyadh a spiegare quali principi legali, qualora i resoconti giornalistici dovessero essere veri, hanno spinto il governo a porre tali restrizioni.
“Le notizie secondo cui Mohammed bin Nayef ha un divieto di viaggio ed è ai domiciliari senza aver ricevuto alcun processo è amaramente ironico per chi [come lui] ha imposto restrizioni arbitrarie [di libertà] a migliaia di sauditi” ha detto Sarah Leah Whitson, direttrice per il Medio Oriente della ong statunitense. “Il governo saudita deve esortare i suoi ufficiali a non abusare arbitrariamente del potere” ha poi aggiunto.
L’ultima apparizione pubblica di bin Nayef risale allo scorso giugno quando è stato estromesso dal potere da Mohammed bin Salman. Nell’ultimo mese diversi report giornalistici hanno provato a indagare perché il figlio dell’attuale monarca è stato promosso “all’improvviso” e perché, a sua volta, è stato deposto l’ex principe ereditario. Secondo la Reuters a bin Nayef sarebbe stato chiesto di dimettersi per l’abuso di antidolorifici che avrebbero annebbiato le sue facoltà di giudizio. Una versione che è stata definita “senza senso” da una fonte governativa. Nena News