Tebboune scioglie il Parlamento e grazia decine di prigionieri politici, nella speranza di coprire la distanza con il movimento di protesta che ha fatto cadere il suo predecessore Bouteflika. Ma la mobilitazione continua, complice il Covid e la crisi economica. Di fronte ai manifestanti si aprono orizzonti nuovi: un dialogo più inclusivo che concili le diverse anime del movimento
di Melissa Aglietti
Roma, 2 marzo 2021, Nena News – L’Hirak è vivo, l’Hirak è morto, viva l’Hirak. A due anni dall’inizio delle proteste in Algeria, ci si interroga sul futuro del movimento che ha portato alle dimissioni di Abdelaziz Bouteflika dopo che, negli scorsi giorni, in un discorso televisivo alla nazione, il presidente algerino Abdelmajid Tebboune, apparso dopo molto tempo, forse per rassicurare sulle sue condizioni di salute, ha concesso la grazia a decine di detenuti dell’Hirak e ha annunciato lo scioglimento del Parlamento per andare elezioni anticipate – programmate per giugno -, con un rimpasto dell’attuale governo per questo periodo di transizione.
Tra le persone che verranno rilasciate, anche il giornalista Khaled Drareni, arrestato a marzo dell’anno scorso mentre stava coprendo una manifestazione di studenti nella capitale algerina. Il giornalista quarantenne era stato condannato a metà settembre a due anni di carcere per «incitamento all’assemblea disarmata» e «indebolimento dell’unità nazionale».
«L’Hirak ha salvato la nostra nazione – ha detto Tebboune – Per questo, con la convinzione di aver colto le sue principali istanze, ho deciso di concedere la grazia presidenziale a persone condannate o in attesa di giudizio: tra i 55 e i 60 prigionieri si riuniranno alle loro famiglie nei prossimi giorni». La mossa di Tebboune non è, però, riuscita ad arrestare le proteste in occasione dell’anniversario dell’inizio delle rivolte pacifiche. Venerdì 22 febbraio un corteo di migliaia di manifestanti ha scosso il centro di Algeri, tra rue Didouche Mourad e la Grande Poste.
In sottofondo, i manifestanti hanno cantato slogan ostili al presidente Abdelmadjid Tebboune. «Non siamo usciti a festeggiare, siamo usciti per farvi andare», intona la folla che riunisce varie componenti della società. Dopo due anni, l’Hirak è ancora a chiedere ‘karama’, dignità, una richiesta che nasce da un forte senso di ribellione verso le ingiustizie del pouvoir.
La crisi innescata dal Covid ha solo spostato lo spazio delle proteste: dalle piazze fisiche a quelle virtuali di Internet, diventati i nuovi luoghi della repressione, come testimoniano gli arresti degli scorsi mesi, tra cui quello del giovane studente Walid Kechida. Ma il gesto del capo dello Stato, ex ministro di Bouteflika che aveva finto di allontanarsi dal regime per poi ripeterne gli schemi coercitivi, apre un nuovo capitolo nella storia del movimento che nasce per l’istituzione dello stato di diritto e la sostituzione della vecchia élite politica.
Gesto che però, secondo la stampa nazionale, rappresenta il disperato tentativo di fermare il clima di proteste crescenti in tutto il Paese. Complici la profonda crisi economica – il deficit di bilancio è ai massimi storici -, sociale e sanitaria. Secondo i dati forniti dalla Johns Hopkins University e riportati da Ispi, i casi totali registrati nel paese sono oltre 103mila, di cui 30mila attivi, mentre i morti sono quasi 2.900 dall’inizio della pandemia. Un quadro che, se nelle ultime settimane era apparso in miglioramento, ha costretto il governo a misure di lockdown, anche se i primi lotti di vaccini acquistati dalla Russia dovrebbero arrivare a breve. Che hanno esacerbato la situazione economica, nonostante il governo stia cercando di mantenere sussidi su larga scala per famiglie e attività colpite più duramente dalla crisi.
Ma il crollo del prezzo del petrolio, iniziata nel 2014 e peggiorata a causa dei minori consumi globali durante i periodi di lockdown, hanno inficiato le casse dello Stato. A questo si aggiunge un aumento della spesa pubblica di circa il 10%, per un totale di oltre 8mila miliardi di dinari algerini (61,3 miliardi di dollari). Di contro le importazioni saranno tagliate di circa il 20%.
Insomma, molto probabilmente il governo si affiderà a prestiti internazionali, ma il percorso resta in salita. Sotto il profilo politico, le recenti proteste dimostrano come Tebbuone non sia stato in grado di guadagnarsi la fiducia dei cittadini algerini, apparendo come un presidente malato e incapace di allontanarsi dalle vecchie logiche del pouvoir. È adesso, dunque, che per l’Hirak si gioca il tutto per tutto.
La sfida più grande è rappresentata dalla comunicazione tra le varie anime del movimento. In particolare, c’è da chiedersi se sarà in grado di instaurare un dialogo tra le forze laiche e islamiste, viste come eredi della sanguinosa guerra civile degli anni Novanta. Un dialogo che, secondo alcuni analisti, sarà possibile solo se l’Hirak sarà capace di superare l’ideologia in nome di valori universalmente riconoscibili. Quale possa essere la ricetta più adatta per conciliare le varie anime del movimento, spetta al popolo algerino trovarla. Nena News