Il rilascio degli arrestati è diventata una richiesta centrale del movimento di protesta contro il “clan” al potere in una situazione in cui, de facto, sta scomparendo la divisione dei poteri. Silenzio dei governo occidentali e dell’Italia, legata a doppio filo ad Algeri da intensi interscambi commerciali e militari
di Maurizio Coppola
Roma, 3 luglio 2019, Nena News – Il 18esimo e il 19esimo venerdì di protesta in Algeria sono stati un ulteriore momento cruciale del movimento sociale composto in prima linea da giovani, lavoratori, disoccupati e donne che sin dall’inizio del cosiddetto hirak chiedono una democratizzazione radicale del sistema politico, una magistratura indipendente, l’uguaglianza tra donne e uomini e la giustizia sociale (più diritti ai lavoratori, più diritti sindacali etc.).
Nelle ultime settimane però un’altra rivendicazione sta segnando le piazze delle maggiori città algerine: la liberazione di tutti i prigionieri politici. La repressione contro giornalisti, militanti politici e contro i semplici cittadini che portano in piazza le rivendicazioni del movimento è aumentata. Ricordiamo l’arresto della presidente del Partito di Lavoratori Louisa Hanoune il 9 maggio: Hanoune è stata messa sotto processo dalla giustizia militare con l’accusa di «attentato contro l’autorità dell’esercito e cospirazione contro la sovranità dello stato» , la sua situazione di salute in queste settimane è deteriorata drasticamente. Pensiamo pure al militante per i diritti umani mozabita Kamal Eddine Fekhar morto dopo 50 giorni di sciopero della fame il 28 maggio in un carcere di Ghardaia. E questi sono solo i due più famosi casi delle ultime settimane.
Il giovedì prima della consuete manifestazione del venerdì 21 giugno, il capo di stato maggiore Ahmed Gaïd Salah aveva avvertito il movimento: chi metterà in pericolo la «coesione nazionale» scendendo in piazza con la bandiera berbera sarà arrestato. Dalle prime ore della giornata gli uffici del Rassemblement action jeunesse (Raj) – organizzazione giovanile in prima linea nel movimento – sono stati circondati dalla polizia antisommossa e i primi attivisti sono stati arrestati. Alle provocazioni del capo dell’esercito algerino le piazze hanno risposto con maturità e determinazione, andando oltre l’appartenenza e quindi la divisione identitaria e sottolineando l’unità nelle rivendicazioni sociali e politiche. Lo scenario si è ripetuto la settimana dopo, il 30 giugno, con una presenza in strada di polizia e militare ancora più massiccia.
Gli arresti si sono moltiplicati e ormai la liberazione immediata di tutti i prigionieri politici è diventata una rivendicazione centrale dell’hirak algerino. Perché l’aumento della repressione e degli arresti è solo l’ultima prova della concentrazione di potere in mano all’esercito algerino, la divisione dei poteri è stato abolito de facto: la polizia è sottomessa direttamente agli ordini del capo di stato maggiore e agisce in nome suo.
Per due domeniche di fila (23 e 30 giugno) diversi manifestanti arrestati sono stati presentati davanti ai tribunali con l’accusa «possessione della bandiera amazigh». Gli attivisti non sono stati ancora rilasciati. La solidarietà ai prigionieri politici è aumentata e il movimento chiede un intervento da parte dai magistrati che, malgrado una loro partecipazione organizzata durante le prime settimane di protesta contro il quinto mandato dell’allora presidente Abdelaziz Bouteflika, rimangono in silenzio in riguardo all’aumento di repressione contro il movimento.
La determinazione del movimento la si trova anche nelle parole di Messaoud Leftissi, uno dei manifestanti arrestati venerdì, parole trasmesse al suo avvocato Aouicha Bekhti: “Per favore, signora, insisto! Dica agli algerini fuori che sono più determinato che mai. Essere liberi in un paese preso in ostaggio non ha senso. Gli dica di continuare a liberare il paese”.
Gli interessi italiani in Algeria
Nonostante il movimento stia coinvolgendo più della metà della popolazione algerina (si parla di 25 milioni di persone sui 42 milioni di abitanti) e nonostante il suo carattere radicalmente pacifico, la comunità internazionale tace di fronte agli abusi di potere da parte dell’esercito algerino. I rappresentanti dei governi con maggiori interessi nella regione si sono limitati a chiedere «stabilità politica» agli inizi delle proteste: l’Algeria gioca un ruolo centrale nel loro rifornimento di petrolio e gas e nel controllo dei «flussi migratori» dall’Africa subsahariana verso l’Europa.
E così anche l’Italia «ufficiale» non si esprime sugli ultimi sviluppi nel paese nordafricano, per ovvi motivi: l’Italia ha un intenso scambio economico con l’Algeria. Secondo i dati ufficiali della Banca d’Italia, gli investimenti diretti italiani nel continente africano è pari a circa 23,5 miliardi di euro all’anno. La classifica vede in testa appunto l’Algeria con 866 milioni di euro, la Francia – primo investitore estero in Algeria – conta circa 2,5 miliardi di euro di investimenti diretti. Seguono l’Egitto con poco più di 700 milioni, la Nigeria (248 milioni) e la Tunisia (235 milioni). Nel 2018 l’Italia si è quindi confermata primo partner commerciale dell’Algeria a livello globale e l’Algeria il primo partner commerciale dell’Italia nel continente africano e nell’area Medio Oriente – Nord Africa.
L’Algeria è il secondo fornitore energetico e ha per questo un’importanza strategica per l’Italia, il gas costituisce la quasi totalità delle importazioni italiane. Oltre al rapporto energetico, la presenza imprenditoriale italiana nel territorio algerino sono legate alle grandi opere e l’industria della difesa. L’Italia è il quarto esportatore assoluto di armi in Algeria (dopo la Russia, la Cina e la Germania) con un export annuo di circa mezzo miliardo di dollari. Le imprese italiane con presenza stabile sono 180 (oltre 500 quelle francesi). Nel 2018 il valore dell’interscambio Italia-Algeria è stato pari a 9,78 miliardi di dollari, di cui 6,1 miliardi (+8,7%) le importazioni in Italia e 3,65 miliardi le esportazioni verso l’Algeria (-2,8%).
Secondo il Ministero degli affari esteri e della Cooperazione Internazionale le ragioni per questo intenso scambio economico sono gli eccellenti rapporti bilaterali, la vicinanza geografica, la dimensione del mercato e tasso di crescita, l’avvio di una politica di diversificazione dell’economia algerina e i costi bassi di energia, materie prime e della forza lavoro. In questo senso, l’accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e la Tunisia ALECA è un indicatore per i futuri rapporti tra i paesi europei neo-coloniali e quelli nordafricani, accordo definito «un laboratorio di subappalto a favore delle multinazionali europee» dal economista tunisino Mustapha Jouili .
Il ministro Matteo Salvini non l’ha mai nascosto e lo aveva ripetuto in occasione degli ultimi sviluppi nella causa Giulio Regeni: per l’Italia (ufficiale) è più importante avere buone relazioni (economiche) con un Paese come l’Egitto (e quindi anche come l’Algeria) che la democrazia, la giustizia e il rispetto dei diritti fondamentali degli esseri umani. Proprio per questo la lotta del popolo algerino è anche la nostra lotta. Nena News