In carcere dal 2012, Darwish è stato insignito del premio “Guillermo Cano” per la libertà di stampa per il suo lavoro iniziato anni prima che la comunità internazionale si accorgesse della repressione del dissenso in atto a Damasco
della redazione
Roma, 4 maggio 2015, Nena News - Nella giornata mondiale per la libertà di stampa, l’Unesco ha deciso ieri di insignire del prestigioso premio “Guillermo Cano” Mazen Darwish, cronista siriano in carcere dal 2012, “in riconoscimento del lavoro che egli ha svolto in Siria per oltre 10 anni con grande sacrificio personale, sopportando il divieto di espatrio, le minacce, così come la detenzione e la tortura ripetuta”.
Darwish, attivista per i diritti umani oltre che reporter, è stato arrestato il 16 febbraio del 2012 assieme a Hani Zaitani e Hussein Ghreir, suoi colleghi del Centro Siriano per i Media e per la Libertà di Stampa, con l’accusa di “promuovere atti di terrorismo” per aver partecipato, secondo quanto riporta l’Osservatorio siriano per i Diritti Umani, a una manifestazione per chiedere il rilascio dei prigionieri politici.
Il suo primo arresto risale però al 2008, ben prima che scoppiasse la rivolta contro il regime di Bashar al-Assad: in quell’occasione aveva riportato di una sollevazione avvenuta ad Adra, cittadina alle porte di Damasco sede di un noto centro di detenzione, ed era stato condannato a 10 giorni di carcere per “diffamazione e insulto ai corpi amministrativi dello Stato”. Due anni prima il governo aveva chiuso il portale indipendente da lui co-fondato nel 2004, syriaview.net, mettendo in luce la repressione che, come aveva dichiarato all’epoca Darwish, “colpisce la libera espressione e gli attivisti democratici”.
Le organizzazioni per i diritti umani non hanno mai smesso di chiedere il rilascio di Darwish, il cui processo è stato posposto per la dodicesima volta questa settimana, slittando al prossimo 14 maggio. Lo scorso anno, in occasione dell’attribuzione del premio PEN Pinter a parimerito con Salman Rushdie, il giornalista era riuscito a far circolare un messaggio fuori dal carcere in cui dichiarava che “se impediamo di esprimere le proprie opinioni a coloro che la pensano diversamente da noi, perderemo le nostre vite e il nostro futuro”.
Darwish ha poi ricordato che i giornalisti in Siria “pagano il prezzo più alto per un’ideologia dell’oppressione” e i numeri gli danno ragione: sono 90 i reporter uccisi nel Paese nei quattro anni dall’inizio della rivolta contro Bashar al-Assad, oltre alle decine di cronisti e attivisti per i diritti umani persi tra quelle 100 mila persone ufficialmente nelle carceri del regime e quei 50 mila “scomparsi” che si crede siano rinchiusi nei tanti uffici nascosti dei servizi segreti. Nena News
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