Ampia controffensiva governativa sul capoluogo dell’Anbar dove la popolazione sunnita è ostaggio dell’Isis: si muore di fame e delle brutalità degli islamisti. Ma il timore è che, dopo la liberazione, la città sarà schiacciata dalle forze sciite.
di Chiara Cruciati
Roma, 9 dicembre 2015, Nena News – La battaglia per Ramadi sarà decisiva, non solo perché capoluogo della provincia di Anbar o perché primo passo verso la controffensiva su Mosul. È decisiva per il futuro dell’Iraq: la città sunnita, centro di un governatorato considerato da sempre caldo, è il luogo da cui la sollevazione anti-Usa è partita e da cui le proteste sunnite contro il governo sciita di Baghdad sono cominciate.
Ramadi potrebbe dare il polso del destino dell’unità irachena. Ieri le forze governative irachene, che stanno avanzando insieme alle milizie sciite controllate dall’Iran, hanno ripreso altri quartieri in città, costringendo l’Isis alla ritirata. In particolare è stato rioccupato il quartiere Tamim, al centro di Ramadi, insieme ad un centro militare. Da qui, ieri il maggiore Ismail al-Mahlawi, capo delle unità impegnate ad Anbar, ha fatto sapere che la bandiera nera dell’Isis è stata rimossa e sostituita con il vessillo iracheno. “Molto presto, finiremo Ramadi”, ha promesso il premier al-Abadi in un intervento televisivo.
Lo Stato Islamico entrò a Ramadi a maggio, dopo il diktat Usa contro i miliziani sciiti: fondamentali per la ripresa di Tikrit ma accusati di violenze contro i civili sunniti e soprattutto di ricevere ordini direttamente da Teheran, le milizie furono costrette a ritirarsi dalla prima linea. La conseguenza immediata fu la caduta repentina della città nelle mani del “califfato”. Ora a sostenere la controffensiva irachena ci sono i jet russi e statunitensi, apparentemente senza coordinamento ma chiaramente in contatto visto il traffico che caratterizza da oltre un anno i cieli del paese.
Ma Ramadi continua a vivere un duro assedio: lo Stato Islamico non molla la presa. Nei giorni scorsi, dopo i volantini che annunciavano la prossima controffensiva governativa contro la città e consigliavano ai civili di andarsene, gli islamisti hanno inasprito i controlli e bloccato le famiglie in fuga. La città è stata riempita di mine, esplosivi e trappole.
“Stiamo provando ad andarcene – racconta un uomo al Washington Post – ma i miliziani di Daesh sono qua davanti alle case e annunciano dai megafoni delle moschee che chi fuggirà sarà considerato un apostata”. E le punizioni per gli apostati sono ben note a chi vive sotto occupazione islamista: flagellazioni in pubblico, crocifissioni, decapitazioni, demolizioni di case. Al terrore per le brutalità di Daesh si aggiunge la paura per le bombe che piovono dal cielo: la gente di Ramadi è in trappola e i miliziani la usano come scudo umano.
Sono in migliaia bloccati nel centro della città, ormai circondato da Baghdad: “I miliziani hanno diviso Ramadi in piccoli segmenti e non permettono il passaggio dei civili da un’area ad un’altra perché sospettano tutti di essere informatori delle forze di sicurezza”, raccontano dei residenti alla Reuters. Pattugliano la città giorno e notte a bordo di motociclette, sequestrano i telefoni, occupano edifici per controllare le strade.
Alla paura si aggiunge la fame: il cibo non entra quasi più dopo che le forze governative irachene hanno circondato la città e ripreso il ponte Palestina, principale ingresso a Ramadi. Gli islamisti distribuiscono un po’ di farina e di verdure, ma il cibo non basta: la gente è costretta a mangiare i gatti per sopravvivere. E a bruciare legna per scaldarsi, perché il carburante non si trova e i generatori non possono funzionare.
Ramadi è in trappola, una trappola che ritiene doppia. Da una parte c’è lo Stato Islamico, inizialmente accolto da alcune comunità dell’Anbar e da ex baathisti che lo consideravano lo strumento per scardinare il governo centrale sciita e superare le discriminazioni imposte nel post-Saddam. Dall’altra le forze governative e le milizie sciite, macchiatesi di crimini contro civili sunniti. Per lungo tempo la popolazione di Ramadi ha chiesto a Baghdad armi per difendere la città e aiuto per formare unità di difesa locali, sunnite, senza ricevere un sostegno adeguato: l’ennesima prova, secondo i sunniti, dei settarismi che stanno distruggendo il paese.
Per smorzare le tensioni il premier al-Abadi ha ridotto il ruolo delle milizie sciite impegnate a Ramadi e chiamato accanto all’esercito miliziani sunniti. Ma i combattenti sciiti ci sono, in tutta la provincia di Anbar a partire da Fallujah.
Ramadi potrebbe essere liberata tra pochi giorni, ma la sfida vera comincerà un minuto dopo la cacciata dello Stato Islamico: la città va ricostruita, gli sfollati devono rientrare, i servizi vase devono tornare. Se Baghdad lo farà collaborando con la comunità sunnita, uno spiraglio potrebbe aprirsi nel nero futuro della divisione dell’Iraq. Nena News