Vertice del Comitato militare intra-libico in Svizzera alla presenza dell’inviato Onu, ma sul terreno gli scontri proseguono cruenti. Ad accenderli il continuo flusso di armi, mai fermato dalla comunità internazionale
di Roberto Prinzi
Roma, 5 febbraio 2020, Nena News – Se non fossero in gioco le vite di migliaia di civili e migranti e la distruzione di un paese, ci sarebbe da ridere. Mentre per due giorni il Comitato militare 5+5 libico – formato da cinque funzionari militari dell’Esercito nazionale libico (Enl) del generale Haftar e da cinque del Governo di Accordo nazionale (Gna) riconosciuto internazionalmente – si è riunito a Ginevra alla presenza dell’inviato dell’Onu in Libia Salamah per discutere del cessate il fuoco nel paese nordafricano del 12 gennaio mediato da turchi e russi (da due settimane però ripetutamente violato), in Libia Gna ed Enl continuavano a scontrarsi militarmente. Un paradosso, ma che ben sintetizza il disastro libico.
Il Comitato, annunciato lo scorso 19 gennaio al termine dei lavori del Convegno di Berlino, è stato considerato da molti analisti come uno dei punti positivi del summit tedesco perché è intra-libico e quindi (teoricamente) affronta la questione internamente «senza ingerenze straniere», come ripetono tutti i protagonisti del dossier Libia negli ultimi due mesi.
Visto il clima infuocato delle ultime settimane, con Gna ed Enl che continuano a combattersi, la convocazione del comitato (dopo alcuni ritardi) è stata già di per sé un miracolo. Ma la possibilità che possa essere al momento di qualche utilità è pura illusione perché i lavori di Ginevra sono nati segnati dal fallimento.
Incontrando tre giorni fa a Bengasi l’inviato dell’Onu Salamah, Haftar ha posto due paletti inaccettabili per il Gna: scioglimento delle milizie e dei gruppi armati a Tripoli («organizzazioni terroristiche» per l’Enl) e necessità di rimuovere la «minaccia» degli oltre 3mila mercenari siriani inviati dai turchi in sostegno del Gna. Un sostegno sempre più evidente e pericoloso perché rischia di aumentare l’intensità del conflitto spingendo anche i partner stranieri di Haftar (emiratini in primis, ma anche egiziani, giordani e sauditi) ad aumentare il flusso di armi e di appoggio logistico e diplomatico in suo favore.
Ciononostante, ieri, in conferenza stampa, Salamah si è dimostrato soddisfatto dei risultati del vertice di Ginevra: le parti, ha detto, “stanno mostrando una sincera volontà” ad avviare negoziati. “Abbiamo iniziato ieri a discutere con loro un lungo elenco di punti sulla nostra agenda partendo dal tentativo di trasformare la tregua in vigore in un vero accordo di cessate il fuoco” ha poi aggiunto sottolineando come l’eventuale dispiegamento di una missione europea di monitoraggio del cessate il fuoco sia “una decisione che devono prendere i libici”.
Le armi sono il principale problema in Libia: il fatto che continuino ad arrivare a entrambe le forze rivali rappresenta il più grande fallimento del Convegno di Berlino di gennaio. Più che le dichiarazioni roboanti dei leader europei contro il flusso di armi sarebbe stato necessario piuttosto mettere su un meccanismo che monitorasse seriamente l’embargo sugli armamenti nel paese, come prevede la risoluzione Onu 1970 del 2011, e soprattutto punisse i trasgressori.
Il ministro degli esteri tedesco Mass ha dichiarato che la Germania collaborerà con il Consiglio di sicurezza dell’Onu per sviluppare una risoluzione che colmi i limiti di Berlino a riguardo. Resta da capire cosa ne pensano gli altri ministri degli esteri presenti nel summit internazionale di gennaio sulla Libia che si rincontreranno il 19 marzo sempre a Berlino.
Con armi in libera circolazione e con attori locali impuniti perché coperti dai rispettivi partner stranieri, la continuazione della guerra in Libia è finora l’unica cosa certa. L’altro ieri le forze armate di Haftar hanno bombardato numerosi obiettivi a sud di Misurata e Zliten, prendendo di mira siti dove si trovavano, oltre a depositi di armi e munizioni, «mercenari siriani e altri estremisti» pro-Gna. Secondo il portavoce dell’Enl, nella sola Tripoli i miliziani islamisti provenienti dalla Siria uccisi negli ultimi giorni sono stati 71.
Le forze del Gna, invece, hanno fatto sapere di aver colpito postazioni di Haftar ad al-Waskha (est di Misurata) provocando un numero imprecisato di morti e feriti. Proprio non lontano da Misurata (città in cui sono presenti 300 soldati italiani) si registrano in questi ultimi giorni gli scontri più duri: qui le forze pro-al-Sarraj provano a fermare l’avanzata dell’Enl grazie anche all’arrivo di rinforzi militari provenienti dalle aree limitrofe e da Tripoli. Teso il clima nella città di Abugrein dove proseguono i combattimenti: ieri tre miliziani del Gna sono stati uccisi dall’Enl. Al momento la situazione sul campo dal punto di vista militare resta invariata: gli uomini di Haftar controllano ancora la vicina città di al-Waskha e la periferia orientale di Abugrein, mentre quella occidentale resta nelle mani delle forze pro-al-Sarraj. Circa 300 famiglie dei residenti della zona hanno dovuto abbandonare le loro case e si sono dirette a ovest verso Sirte e Ajabiya. Nena News