La denuncia in uno studio della Ong Yemen Data Project. Amnesty International denuncia le bombe di fabbricazione statunitense utilizzate nel conflitto e chiede a Washington e Londra di smettere di vendere armi a Riyad. Oggi al Senato Usa si vota una risoluzione congiunta per lo stop ad un pacchetto di aiuti militari ai sauditi. Poche le possibilità che venga approvata
di Roberto Prinzi
Roma, 21 settembre 2016, Nena News – Nell’indifferenza della comunità internazionale continua la mattanza in Yemen. Bombe e razzi della coalizione a guida saudita hanno colpito ieri il quartiere generale della sicurezza nazionale nella città vecchia di Sana’a uccidendo una persona e ferendone tre. L’attacco, giunto in risposta al lancio di un missile verso il territorio saudita, ha suscitato molte polemiche anche al di fuori del Paese perché ha provocato diversi danni al centro storico della città, patrimonio dell’Unesco. I raid della coalizione hanno colpito anche il ministero della difesa (occupato ora dagli houthi) che si trova vicino ad una delle porte della città vecchi. Bombe anche nella parte settentrionale della capitale (2 ribelli morti, 4 civili feriti) e a sud est dove sono stati presi di mira due campi di addestramento degli houthi. Routine di morte e distruzione che è stata solamente sfiorata ieri dal segretario di stato dell’Onu Ban Ki-Moon nel suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Lo Yemen è abbandonato a se stesso. Non lo si scopre oggi. Da New York è solo arrivata l’ennesima conferma.
E se le bombe continuano a piovere dal cielo, le distanze tra il governo yemenita e i ribelli continuano ad essere incolmabili. Una decisione presa ieri potrebbe esacerbare le tensioni: la banca centrale yemenita sarà trasferita da Sana’a ad Aden (controllata dal governo). “È ormai ovvio che la banca centrale della capitale abbia finanziato i golpisti [gli houthi, ndr] e abbia pertanto perso la sua neutralità e indipendenza” ha detto Monasser Saleh al-Quaiti nominato governatore della banca dal presidente in esilio Abd Rabbu Mansour Hadi. A dimostrazione della sua argomentazione, Quaiti ha detto che i salari che la banca ha pagato ai soldati e agli ufficiali pro-houthi hanno ridotto le riserve dai 5.2 miliardi di dollari del settembre 2014 (pre-guerra) a meno di 700 milioni alla fine di agosto. Un numero ben al di sotto dell’1.3 miliardi di dollari previsti a giugno. Se i numeri di Quaiti fossero confermati, il tracollo economico definitivo del Paese, tra gli stati più poveri al mondo, potrebbe giungere prima di quanto previsto dagli analisti.
Gli elementi politici ed economici si intrecciano necessariamente con quelli umanitari. Un rapporto pubblicato venerdì dalla ong Yemen Data Project ha affermato che un terzo dei bombardamenti della coalizione a guida saudita ha preso di mira siti civili (scuole, edifici, ospedale, mercati e moschee). Lo studio – che esorta Londra a non vendere più armi a Riyad – accusa il blocco sunnita di compiere crimini di guerra nel Paese. “Nonostante le numerose prove che testimoniano come siano colpiti i civili, prima [il premier] Cameron e poi [la neo prima ministra] May hanno continuato a difendere ipocritamente la brutale campagna [bellica] in Yemen” ha detto al The Guardian il portavoce degli affari esteri del partito liberale britannico, Tom Brake, commentando il report di Yemen Data Project.
Lo studio della ong ha registrato oltre 8.600 raid della coalizione saudita dall’inizio della guerra (marzo 2015) all’agosto del 2016. Di questi, 3.577 hanno avuto come target obiettivi militari, ma 3.158 hanno colpito siti civili. Lo studio ha poi identificato 1.882 raid “sconosciuti”, ovvero bombardamenti dove non è possibile identificare quale fosse il vero obiettivo dell’attacco. Yemen Data Project snocciola i dati del massacro che si sta consumando nel Paese: dall’inizio del conflitto si sono registrati 942 raid aerei su zone residenziali, 114 su mercati, 34 su moschee, 147 su scuole, 26 su università e 378 sui mezzi di trasporto. Di fronte a questi numeri, denuncia l’organizzazione non governativa, appare evidente come la coalizione sunnita non stia facendo molto per evitare le morti civili.
Riyad, però, si difende e attacca: sono i ribelli sciiti ad aver militarizzato le aree civili. “Gli houthi hanno trasformato le scuole, gli ospedali e le moschee in centri operativi, in depositi di armi rendendoli non più siti civili. Ora sono obiettivi militari. Erano una scuola un anno fa, non adesso che vengono bombardati” ha detto senza troppi giri di parole Adel al-Jubeir, il ministro degli esteri saudita. Che tradotto vuol dire: ogni area del Paese può essere soggetta a raid, nessuna zona è immune. Che se lo ricordino gli yemeniti.
Ma nell’occhio del ciclone non vi è solo il blocco sunnita. Due giorni fa Amnesty International ha sostenuto che le bombe utilizzate lo scorso 15 agosto per colpire un ospedale yemenita gestito da Medici senza Frontiera (19 le vittime dell’attacco) sono di fabbricazione statunitense. “È vergognoso che gli stati continuino a dare armi alla coalizione saudita ” ha detto indignato il capo dell’area Mena di Amnesty, Philip Luther. “Abbiamo le prove che queste armi sono usate per attaccare ospedali e obiettivi civili violando così la legge internazionale” ha aggiunto Luther. Amnesty ha chiesto pertanto di mettere sotto embargo tutte le armi che possono essere usate dalle fazioni in lotta e di aprire un’indagine internazionale che assicuri alla giustizia chi è stato responsabile di questi “attacchi illegali”. La guerra nel Paese ha provocato almeno 10.000 morti, la maggior parte dei quali è rappresentata da civili. Gli sfollati sono tra i 2,5 e i 3 milioni.
La mattanza yemenita sta cominciando a creare mugugni anche negli Usa. La Reuters riferisce che oggi il senato americano dovrebbe votare una risoluzione congiunta che mira a bloccare la vendita di materiale militare all’Arabia saudita. Per essere implementata, la proposta dovrà essere approvata dal Senato, dalla Camera dei Rappresentanti e firmata dal presidente Barack Obama. Una pia illusione: sia la Casa Bianca che il Congresso hanno già dato l’ok per la transazione ed è difficile (se non impossibile) che possano tornare indietro sui loro passi. Soprattutto quando ci sono in ballo 1,15 miliardi di dollari. I sostenitori dell’iniziativa sono però fiduciosi: anche se la proposta non dovesse passare, un voto positivo o un forte sostegno all’iniziativa potrebbe mandare un importante segnale di contrarietà al continuo sostegno americano dell’Arabia saudita. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir
Pingback: Fonti La Storia Siamo Noi – 84Ground