Viaggio lungo la barriera costruita dal governo di Tel Aviv nel distretto di Betlemme: tra blocchi di cemento e reti elettrificate, la Cisgiordania ha perso altre terre, ufficiosamente annesse allo Stato di Israele
testo e video di Francesco Sellari
Betlemme, 14 gennaio 2017, Nena News – Beit Sahour è una città palestinese ad est di Betlemme. Qui sono ben evidenti gli effetti della costruzione del muro di separazione tra Israele e Cisgiordania che penetra profondamente nella West Bank, sottraendo terre ai palestinesi. Circa un terzo delle terre possedute dalle famiglie di questa cittadina di circa 12mila abitanti si trova dall’altra parte del muro: 2,2 chilometri quadrati inaccessibili dal 2005.
Lo spiega Baha Hilo, sociologo e attivista palestinese, membro dell’associazione To Be There, incontrando un gruppo di giornalisti italiani durante il seminario organizzato da Nena News nei Territori Palestinesi e in Israele nell’aprile 2016.
Il muro di separazione si snoda per circa 750 chilometri, ben oltre i 360 che costituiscono il confine tra Israele e Cisgiordania. Il 10% è in cemento armato, alto fino a 12 metri con torrette di avvistamento. La parte restante consiste invece in una struttura la cui larghezza varia tra i 40 e i 60 metri: si tratta di una strada, percorribile soltanto dall’esercito israeliano, “protetta” da una rete elettrificata, filo spinto e fossati che si snodano parallelamente ad essa.
“Il muro è illegale quantomeno per la Corte Internazionale di Giustizia – spiega Hilo – che nel 2004 ha stabilito che il muro che Israele sta costruendo deve essere smantellato e che le famiglie che hanno subìto delle perdite a causa di esso devono essere risarcite”.
Il muro consente, di fatto, di annettere terre alle colonie israeliane. Sono 22 nel solo distretto di Betlemme. Nonostante siano illegali in base alla Quarta Convenzione di Ginevra, che impedisce a qualsiasi potenza occupante di trasferire parte della propria popolazione civile nei territori occupati, sono concretamente supportate dallo Stato Israeliano: dalle confische alla pianificazione urbanistica fino al finanziamento delle imprese costruttrici.
Dalle colline di Beit Sahour è possibile, ad esempio, vedere l’espansione di Har Homa, colonia fondata nel 1997 su terre appartenenti a cinque comunità palestinesi: oltre a Beit Sahour, Betlemme, Beit Safafa, Umm Tuba e Sur Baher. Oggi può ospitare fino a 35mila ebrei israeliani e continua ad espandersi su quella che Israele considera terra incolta e abbandonata e per questo confiscabile dallo Stato in base ad una legge che risale al periodo ottomano.
In realtà sono terre inaccessibili ai proprietari proprio a causa della presenza del muro. Una situazione da considerare kafkiana se non fosse tragica. “Una famiglia di Beit Sahour ha provato a fare ricorso all’ordine di confisca presso un tribunale israeliano – racconta Hilo – affermando che la terra era sì abbandonata, ma perché erano impossibilitati a raggiungerla a causa del muro. Il tribunale ha respinto il ricorso stabilendo che la presenza del muro non costituisce un ostacolo alla coltivazione della terra”. Nena News
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