Il corpo senza vita di Pinar Gultekin è stato ritrovato dopo cinque giorni di ricerche nella provincia di Mugla. Le autorità promettono giustizia, ma secondo le attiviste l’esecutivo islamista di Erdogan è responsabile dell’aumento di aggressioni contro le donne
della redazione
Roma, 22 luglio 2020, Nena News – Dopo cinque giorni di ricerche, è stato ritrovato tra i boschi del distretto di Mentese, nella provincia turca di Mugla, il corpo senza vita della studentessa 27enne Pinar Gultekin. Dalle prime indagini, la ragazza sarebbe stata picchiata dal suo ex fidanzato (al momento detenuto dalla polizia) e poi strangolata. Il caso ha sollevato indignazione e proteste in Turchia per l’ennesimo caso di femminicidio. Non una novità purtroppo per il Paese: secondo la piattaforma indipendente “Fermiamo i femminicidi”, nel 2019 sono state assassinate almeno 474 donne, 120 solo dall’inizio di quest’anno.
Sul banco degli imputati è salito il governo islamista del presidente Erdogan da anni accusato non solo di non aver approntato leggi adeguate per combattere questo fenomeno tragicamente in crescita, ma di aver fornito una qualche forma di copertura agli aggressori.
“Il dolore di nostra figlia Pinar Gultekin, massacrata a Mugla, ha trafitto i nostri cuori” – ha detto Zehra Zumrut Selcuk, la ministra turca per la Famiglia, lavoro e servizi sociali – interverremo su quanto accaduto e seguiremo il processo giudiziario affinché l’assassino avrà la sentenza più dura possibile”.
Parole che non bastano per placare la rabbia contro le autorità che si è riversata sui social. I numeri raccolti dalla Piattaforma “Fermiamo i femminicidi” parlano da soli: nell’ultimo decennio in Turchia sono state uccise più di 2.600 donne. Secondo studi dell’Onu, il 38% delle donne turche ha sofferto violenze sessuali o psichiche da parte dei loro partner. Una violenza di cui il partito islamista di governo Akp del presidente Erdogan è direttamente responsabile secondo le attiviste della piattaforma. “Nel 2016 – ha detto la sua direttrice Fidan Ataselim – il governo aveva proposto una legge sull’amnistia per gli autori di abusi sessuali sui minori. Tutte le donne si sono opposte e la proposta è stata ritirata. Se ora ci riprovano, la combatteremo di nuovo”. Perché, basta sfogliare i provvedimenti o i disegni di legge degli ultimi anni, è anche sul corpo delle donne che si gioca il processo di islamizzazione della società turca voluto dal “Sultano neo-ottomano” di Istanbul.
Al centro della lotta delle associazioni civili locali, infatti, c’è la proposta delle autorità di adottare il matrimonio riparatore che permette a chi è accusato di violenze sessuali di evitare la condanna sposando la propria vittima. A patto, è l’unica “restrizione”, che la differenza tra i due sposi sia minore di 10 anni. Nei fatti si tratta di un vero e proprio condono dello stupro, un salvacondotto offerto all’aggressore, un modo per cancellare i le tracce della violenza maschile che le donne registrano da anni sul proprio corpo. Alcuni commentatori non mancano di osservare come l’amnistia servirebbe soprattutto nelle aree rurali – più vicine al partito di Erdogan, ormai in calo di consensi e travolto dalla crisi economica aggravata dalla pandemia – dove maggiormente si registrano casi di violenza. Visto il clima, non sorprende che una delle ultime significative proteste prima del lockdown per l’arrivo del Coronavirus, ha visto protagoniste proprio centinaia di donne che scesero in piazza a Istanbul all’inizio dell’anno per ballare una canzone che recitava “Lo stupratore sei tu!”, diventata nuovamente virale in rete in queste ore.
L’omicidio di Pinar giunge in una fase in cui il governo turco è sempre più intenzionato a fare emendamenti alla Convenzione di Istanbul che combatte le violenze di genere. I gruppi conservatori premono infatti per modificare le sue disposizioni perché, affermano, “impattano negativamente sulla famiglia”. Per la società civile, invece, queste leggi andrebbero implementate maggiormente per porre un freno alla catena inarrestabile di femminicidi.
La contrapposizione tra gli opposti schieramenti è molto forte. A dare il senso della posizione governativa ci ha pensato lo scorso 2 luglio il vice presidente dell’Akp, Numan Kurtulmus. Intervistato in televisione, Kurtulmus ha detto che “La Convenzione di Istanbul è veramente sbagliata” perché “fa il gioco del [movimento] Lgbt e dei gruppi marginali”. Introdotta nel 2011, la Convenzione è stata ratificata dalla Turchia nel 2012 ed è stata firmata da 45 paesi insieme all’Unione Europea nel tentativo di affrontare la violenza contro le donne e proteggerle contro i loro aggressori. L’obiettivo di alcune forze conservatrici in Turchia è di togliere alcune sue protezioni con il pretesto che portano ad un aumento di separazioni familiari e violazioni delle norme tradizionali culturali.
Che le aggressioni alle donne da parte degli uomini siano un serio problema in Turchia è evidente. Nel marzo del 2018 i ministeri degli Interni e quello della Famiglia hanno creato un’applicazione sul cellulare chiamata Kades che ha riportato finora 30.601 casi di violenza contro le donne. Che corrispondono a circa 38 al giorno secondo quanto ha riferito il principale partito di opposizione, i kemalisti del Chp. “Pinar Gultekin è stata uccisa. Dobbiamo essere tutti sensibili alls violenza contro le donne. Il governo dovrebbe rispondere: perché le aggressioni contro di loro stanno aumentando?” ha domandato l’altro giorno Kemal Kilicdaroglu, il leader del Chp. Da Ankara nessuna risposta, se non una vaga promessa che gli aggressori saranno assicurati alla giustizia. Nena News