Il presidente Erdogan ha annunciato due giorni fa l’intenzione di allargare l’operazione, ufficialmente conclusa, a Sinjar, Tal Afar e Mosul: nel mirino milizie sciite e Pkk, i nemici della narrativa del nazionalismo sunnita in salsa ottomana
di Chiara Cruciati
Roma, 6 aprile 2017, Nena News – Dopo il nord della Siria toccherà all’Iraq: è l’annuncio fatto martedì alla tv locale turca Ntv dal presidente Erdogan, a dimostrazione che non solo l’operazione Scudo dell’Eufrate non è affatto sospesa ma sarà ampliata.
Nel mirino sta lo stesso obiettivo che alla fine di agosto dello scorso anno mosse i carri armati turchi oltre il confine (un’invasione via terra che aveva sollevato le proteste siriane per la violazione della sovranità del paese, ben presto ritirate dopo il riavvicinamento Ankara-Mosca): distruggere ogni possibilità di unità kurda da Sinjar, in Iraq, ai cantoni siriani di Afrin, Kobane e Jazira.
La futura operazione, ha detto Erdogan, “non avrà solo una dimensione siriana, ma anche una dimensione irachena. Ci sono le situazioni di Tal Afar e Sinjar. E siamo legati anche a Mosul”. Tutto nel calderone: milizie sciite irachene, attive a Tal Afar, ovest di Mosul; i kurdi del Pkk presenti nella yazida Sinjar e primi attori della sua liberazione dal giogo Isis; e la stessa Mosul, con il riferimento alla comunità turkmena che serve a nascondere l’interesse a garantire uno spazio sunnita contro il governo sciita di Baghdad.
A monte sta la visione ottomana del presidente Erdogan, un discorso fondato sul nazionalismo di stampo sunnita nello stile dell’impero che fu, dove far convogliare confessionalismo e nazione turca. In tale narrativa la Turchia punta ad un allargamento regionale della propria influenza che non è meramente politico ma fisico nei territori e gli Stati-nazione vicini, così da crearsi zone cuscinetto alla frontiera utili non solo ad arginare le aspirazioni kurde ma ad avere enclavi sunnite fedeli con cui indebolire i governi centrali.
Come previsto, Scudo dell’Eufrate – ufficialmente terminata il 29 marzo – non è conclusa. Lo si era già intuito dalle parole del premier Yildirim che non aveva parlato di ritiro delle truppe turche e aveva paventato nuove operazioni sotto un altro nome. Quelle operazioni hanno uno scopo che accomuna il Kurdistan storico, dal Bakur a Rojava: indebolire definitivamente il Pkk. Non a caso Erdogan, che stima 2.500 combattenti del Pkk a Sinjar, la etichetta come “una seconda Qandil”, le montagne dove nel 2013 – quando partì il processo di pace voluto dal leader Ocalan – i militanti kurdi si ritirarono. Da quasi due anni è target settimanale dei jet turchi, che hanno ucciso migliaia di combattenti e distrutto depositi di armi e postazioni.
Una battaglia nella quale Erdogan sa di poter contare sull’alleato kurdo iracheno, sul presidente Barzani a Erbil: le scorse settimane sono state segnate da duri scontri interni tra kurdi del Pkk e peshmerga vicini al partito Kdp di Barzani, proprio a Sinjar. Due giorni fa a tornare sulla questione è stato il portavoce di Barzani, Omed Sabah: “Tutte quelle entità, chiamate Ybs [le Forze di Resistenza Yazidi, ndr], sono forze armate del Pkk. Hanno origine nell’ideologia del Pkk e fanno parte della sua struttura. Avere qualche membro a Sinjar, però, non legittima la loro presenza lì”.
Sullo sfondo sta la posizione strategica della zona yazidi, a 55 chilometri dal confine turco e a pochissima distanza da quello siriano. In mezzo a Tal Afar e Mosul. Si dimentica così il ruolo fondamentale che ebbe il Pkk nell’agosto 2014 quando – con i peshmerga in fuga – fu il solo a dare assistenza alla comunità yazidi sotto attacco dell’Isis, costretta a rifugiarsi sul monte Sinjar senza cibo né acqua.
Mentre l’allora presidente Obama ordinò l’intervento in Iraq giustificandolo proprio con il massacro yazidi per poi scordarselo, il Pkk riuscì a rompere l’assedio islamista del monte e a far confluire verso il Kurdistan iracheno decine di migliaia di sfollati yazidi. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati