L’omicidio dell’avvocato curdo Tahir Elci è figlio della stessa strategia anti-democratica che mosse la repressione dei giovani di Taksim e oggi colpisce il movimento curdo
della redazione
Roma, 30 novembre 2015, Nena News – Il Kurdistan turco è ancora sotto choc: in migliaia hanno preso parte ai funerali dell’avvocato e difensore dei diritti umani Tahir Elci a Diyarbakir, sabato pomeriggio. Si parla di 50mila persone: una folla umana per cui le accuse mosse dal presidente Erdogan (secondo il quale responsabile dell’omicidio è il Pkk) sono l’ennesima offesa.
L’autopsia sul corpo di Elci, ucciso nel distretto di Sur, ha dimostrato che l’avvocato è stato colpito alla base del collo e che la pallottola è uscita dall’occhio sinistro. Colpito alla schiena mentre intorno si teneva quello che per molti è stato uno “spettacolo” preparato a tavolino: una sparatoria confusionaria, mostrata in diversi video, tra polizia e uomini armati. Così è morto un uomo che dagli anni Novanta lavora con la Diyarbakir Bar Association nell’investigare i crimini e gli abusi commessi dallo Stato curdo. Ma non solo: Elci ha sempre rigettato la violenza e criticato duramente quelle compiute dai combattenti curdi.
Una posizione, forse, doppiamente pericolosa per Ankara: Elci parlava di processo politico, riconciliazione, diritti. Per questo, secondo il Kck, l’Unione delle Comunità del Kurdistan, il responsabile è politico: “Il presidente dell’Amed Bar [Elci] è stato assassinato per aver commesso il più grave crimine agli occhi dello Stato turco, aver detto ‘Il Pkk non è un’organizzazione terroristica’. Quando questo accade a un politico noto, la risposta è la morte. Mentre lo Stato turco usa tutto quello che ha a disposizione perché il Pkk sia riconosciuto come organizzazione terroristica, un avvocato noto in tutto il mondo per difendere l’opposto costituisce un pericolo. La Gladio del Palazzo ha dovuto prendere un’azione immediata ed è stato ammazzato”.
Secondo il Kck, i video mostrano che a sparare a Elci è stata la polizia, mentre altri due poliziotti avrebbero detto a uno degli uomini armati di “scappare via subito per non essere visto”. Il fatto che l’avvocato sia stato colpito alla testa e non da colpi volanti, sarebbe un’altra prova di volontarietà: “Tutto il popolo curdo sa bene che un omicidio con un solo colpo alla testa è il metodo di punizione. Le parole del presidente Erdogan secondo cui l’omicidio di Elci è la prova della validità della lotta all’anti-terrorismo dimostra che il governo dell’Akp uccide civili per legittimare la sua politica di aggressione”.
Elci stava affrontando un processo per aver detto che il Pkk non è un’organizzazione terroristica come il governo la etichetta. Un crimine in Turchia soprattutto dopo luglio, dopo la fine del cessate il fuoco di tre anni tra Partito curdo dei Lavoratori e governo di Ankara, rotto dalla decisione di Erdogan di lanciare una campagna militare contro Isis e Pkk.
Che l’omicidio sia politico non pare esserci dubbio. Chi lo abbia commissionato non è dato saperlo. In ogni caso, a monte sta l’atmosfera di paura, terrore e censura politica che regna da tempo in Turchia. L’Akp ha imbastito elezioni anticipate giocando sui timori di una popolazione che si sente minacciata dagli islamisti dell’Isis e le azioni politiche del Pkk. Alle richieste di maggiore democrazia espresse da Gezi Park e Piazza Taksim, represse nel sangue dalla polizia turca, ha risposto l’autoritarismo del governo: il miglior modo per mettere a tacere le voci critiche non è la repressione fisica ma quella psicologica. “Siamo in guerra, per cui ci vuole unità”: questo il messaggio inviato dal presidente dopo le elezioni di giugno e la perdita della maggioranza assoluta.
Se si è in guerra, ci vuole l’uomo forte. Ed ecco che al voto di novembre a vincere è stata di nuovo l’Akp. A pagare lo scotto di una simile politica sono la base, gli attivisti, i cittadini che chiedono riforme democratiche, i curdi che chiedono riconoscimento politico. Ma le vittime vanno anche oltre i confini: sono i curdi siriani di Rojava che hanno subito il doppio assedio Isis-Ankara e che oggi continuano ad essere target della zona cuscinetto che Erdogan ripropone ogni settimana alla comunità internazionale.
Ai funerali di Elci la commozione era tanta, ma tanta era anche la rabbia: “Mio fratello non è il primo martire, né sarà l’ultimo – ha detto il fratello Ahmet – Come intellettuale curdo è stato massacrato dallo Stato. Abbiamo visto questo Stato uccidere intellettuali curdi durante tutta la nostra storia. Ma non ci arrenderemo e vinceremo”. Nena News