Dieci minuti di comizio dal carcere, in migliaia in piazza a Istanbul per seguirlo. A una settimana dal voto la tensione sale: a Suruc quattro sostenitori dell’Hdp uccisi, mentre Erdogan monopolizza i media
della redazione
Roma, 18 giugno 2018, Nena News – Da una cella della prigione turca dove è rinchiuso dal 4 novembre 2016, nella città di Edirne, il leader del Partito Democratico dei Popoli e candidato alle presidenziali della prossima domenica, Selahattin Demirtas, ha parlato in tv. Ha potuto, da prigioniero, tenere un comizio indiretto dopo che la Commissione elettorale gli ha negato il rilascio per poter condurre la campagna elettorale.
Finora aveva inviato i suoi messaggi elettorali ai sostenitori, curdi, sinistra laica, liberali, movimenti, tramite i social network e con lettere inviate dal carcere, sopraffatto dalla presenza preocché totale dell’attuale presidente Erdogan sui media nazionali. La tv Trt, emittente di Stato, gli ha concesso i dieci minuti di tempo previsti dalla legge, la prima volta nella storia turca che un candidato alla presidenza ha parlato da una prigione: “La sola ragione per cui sono qui – ha detto Demirtas – è che l’Akp (il partito di governo) ha paura di me. Pensano che legandomi le mani e andando di piazza in piazza a lanciare accuse conto di me siano atti coraggiosi. Stanno palesemente violando la costituzione dichiarandomi colpevole anche che se non c’è una sentenza di condanna contro me”.
Demirtas ha accusato Ankara di aver messo in piedi un “regime repressivo”, “il regime di un uomo solo”: “Non ho dubbi che voi sarete dalla parte della libertà – ha aggiunto – Riprenderemo il nostro paese dal ciglio del baratro. Siete vittime dell’oppressione nella vostra vita quotidiana”.
All’appello tv il popolo di Demirtas ha risposto con una serie di manifestazioni: in migliaia si sono ritrovati a Istanbul, nel distretto di Bakirkoy, con bandiere e maschere di Demirtas per seguire il discorso in diretta. La polizia aveva posto barriere intorno alla zona per impedire ai manifestanti di arrivare, senza successo. “Vinceremo”, ha gridato la folla. Nelle stesse ore altre migliaia di persone si riunivano a Kocaeli con il co-presidente Hdp Sezai Temelli, candidato al parlamento.
Temelli ha fatto appello alla fine del conflitto interno e attaccato “gang” dell’Akp per le uccisioni compiute a Suruc, nel sud della Turchia, a cui sono seguiti diversi arresti, 19 sostenitori dell’Hdp. Giovedì, durante la visita di un parlamentare dell’Akp, quattro persone sono state uccise dopo uno scontro verbale con un sostenitori dell’Hdp. Il partito di sinistra ha accusato sostenitori del presidente Erdogan che invece ha usato l’occasione per lanciare strali contro gli avversari.
“L’Hdp è sotto attacco. Il nostro co-presidente provinciale di Kocaeli è in ospedale e chi lo ha attaccato va in giro libero – ha detto Temelli – Il dovere dei nostri pubblici ufficiali è di servire la gente, proteggere i cittadini. Non lavorano per l’Akp ma per la gente”. Il co-presidente Hdp ha poi chiesto la fine dello stato di emergenza, indetto dal governo nel luglio 2016 dopo il tentato golpe e tuttora in vigore, situazione che ha portato all’arresto in questi due anni di oltre 160mila persone, tra giornalisti, funzionari pubblici, professori, soldati.
Da parte sua Erdogan, onnipresente sui media tanto da poter facilmente negare agli avversari confronti diretti in televisione, pochi giorni fa ha annunciato la fine dello stato di emergenza dopo le elezioni solo se il paese “non subità altre minacce”. Verrebbe da dire che molto dipenderà dai risultati del voto: secondo i più recenti sondaggi, Erdogan non otterrà la maggioranza assoluta al primo turno, la sua speranza ben poco occulta quando qualche mese fa ha ordinato elezioni anticipate. Nena News