A pochi giorni dal voto i sondaggi danno il testa al testa. Ma se la riforma passerà, Erdogan potrà imporre una visione nazionalista sunnita che vuole una società omogenea e senza voci critiche
della redazione
Roma, 12 aprile 2017, Nena News – Mancano ormai pochi giorni al referendum di domenica 16 aprile. La Turchia è al bivio: se vincerà il sì, la riforma costituzionale fortemente voluta dal presidente Erdogan diverrà realtà.
Secondo l’ultimo sondaggio, pubblicato stamattina, la differenza tra i sì e i no è praticamente inesistente: il 51-52% di sì e il 48-49% secondo l’istituto Anar. Una distanza minima, in cui un ruolo centrale potrebbe essere giocato dall’elettorato all’estero, dal 7 aprile impegnato nelle operazioni di voto nei consolati turchi fuori dal paese.
Erdogan, ad un passo dalla fine della repubblica parlamentare e dall’assunzione di poteri semi-assoluti, si gioca molto. E usa ogni strategia per accaparrarsi un voto in più: fingendo di dichiarare finita l’operazione in Siria, Scudo dell’Eufrate; parlando ai kurdi per ottenere da loro voti dopo avergli lanciato contro una brutale campagna militare; stringendo la morsa sulla stampa, già decimata dalle purghe post-golpe, con la magistratura che chiede pene severissime per decine di giornalisti in prigione.
Ultima in ordine di tempo è la richiesta di ieri della procura di Istanbul: ergastolo per i 30 ex dipendenti del gruppo editoriale Zaman – tra cui i direttori delle varie testate – perché considerata portavoce del movimento dell’imam Gulen, accusato di aver ordito il golpe del 15 luglio 2016. Sono accusati di tentato rovesciamento del governo.
Il 5 aprile era stata la volta di 19 giornalisti del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, per cui la procura ha chiesto fino a 43 anni di prigione per appartenenza a gruppo terroristico, tentato golpe e diffusione di notizie false.
La tensione è alta: Erdogan prosegue con i comizi, mentre in carcere restano i leader dell’opposizione di sinistra dell’Hdp. Difficilissimo fare campagna per il no con migliaia di sostenitori, sindaci, amministratori e deputati dietro le sbarre. I kurdi non nascondono i loro timori: una vittoria del sì rafforzerà la visione accentratrice turca, il nazionalismo sunnita e la “missione” neo-ottomana del presidente in Turchia, come nei paesi vicini dove – oltre alla Siria – ad essere minacciato ora è anche l’Iraq.
Ma cosa prevede la riforma? Alla base sta il passaggio dalla repubblica parlamentare al presidenzialismo, con il presidente della repubblica che convoglierà su di sé i poteri esecutivi, cancellando la figura del primo ministro: potrà scegliere i ministri e licenziarli ed emettere decreti presidenziali su quasi ogni aspetto, compresi quelli inerenti diritti e libertà fondamentali, senza dover passare per il parlamento; potrà sciogliere il parlamento e dichiarare lo stato di emergenza da solo; potrà nominare i vertici dei servizi segreti e delle forze armate, i vertici delle università e una parte dei giudici della Corte Costituzionale.
Nella pratica nella figura del presidente della repubblica saranno convogliati i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, senza un effettivo bilanciamento esterno.
Con la riforma Erdogan potrà, inoltre, restare in carica fino al 2029 se rieletto nel 2019: le modifiche alla costituzione, infatti, prevedono per la presidenza due mandati di cinque anni l’uno, azzerando il precedente mandato, quello in corso. E sarà nella pratica salvo da procedure di impeachment: per mettere sotto accusa il presidente serviranno 301 firme per avviare il processo e oltre 400 voti parlamentari su 600. Infine, avrà la possibilità di rimanere capo del suo partito, l’Akp.
Un uomo solo al comando che azzererebbe le opposizioni e le voci critiche, trascinando la Turchia in un’era buia. Nena News