L’attentato di ieri al museo Bardo di Tunisi, che ha provocato almeno 23 vittime, mette in luce le difficoltà del governo in materia di sicurezza. E infligge un duro colpo all’economia del paese, che riponeva le sue speranze nella ripresa del turismo. Costa Crociere ha appena sospeso tutti gli scali nei porti tunisini
di Giorgia Grifoni
Roma, 19 marzo 2015, Nena News - “La Tunisia è un Paese sicuro che può essere visitato tranquillamente. Non c’è nessun problema di sicurezza, è tutto sotto controllo”. Così, appena due giorni fa, la ministra del turismo tunisino Selma Ellouni Rekik rassicurava visitatori e imprenditori stranieri sul rischio di attacchi terroristici da parte di gruppi di estremisti islamici che proprio in quelle ore circolava sul web. Video e proclami passavano di social in social, ma Tunisi si mostrava sicura. Ora, a 24 ore dall’attacco al Museo Bardo che ha provocato 23 vittime, tra le quali 18 turisti stranieri, la Tunisia si scopre debole sul piano della sicurezza. Una debolezza che potrebbe trascinare nel baratro soprattutto l’economia, legata al turismo e mai veramente sanata dalla cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini” che quattro anni fa portò alla caduta di Ben Alì, il primo di una lunga serie di autocrati mediorientali rovesciati.
Tunisi, che tutti – dai media internazionali ai suoi cittadini – dipingevano come un “modello di rivoluzione riuscita” non ce l’ha fatta a restare immune dalle infiltrazioni del terrore. Nemmeno dopo la formazione di un governo di coalizione tra laici e islamici, guidato da un fedelissimo di Ben Ali (l’ex presidente gli aveva affidato il ministero degli Interni, ndr), Habib Essid, poi passato con nonchalance nel gabinetto di transizione, che aveva ottenuto la fiducia del Parlamento giurando di consacrare la sua amministrazione alla sicurezza e alla lotta al terrorismo di stampo jihadista. Ieri il neoeletto presidente Beji Caid Essebsi, leader del partito laico Nidaa Tounes, ha dichiarato una “guerra senza pietà al terrorismo”, giurando che le “minoranze selvagge” verranno combattute “fino all’ultimo respiro”. Ha poi autorizzato il dispiegamento dell’esercito nelle maggiori città del paese, mentre la polizia arrestava quattro persone sospettate di far parte del commando che ha provocato la strage al museo. Ma la verità è che l’attività jihadista era ben avviata nel piccolo paese nordafricano. E le autorità lo sapevano bene.
Schiacciata tra due frontiere difficoltose – da un lato l’Algeria, ai cui confini i militari tunisini sono impegnati in una sanguinosa battaglia contro le cellule jihadiste sotto le montagne del passo di Kasserine e dall’altro la Libia, con cui condivide migliaia di chilometri di deserto da cui passa di tutto – la Tunisia si vantava nei mesi passati di essere riuscita a contenere le ondate estremiste e minimizzava persino i numeri che l’avevano improvvisamente resa “il massimo esportatore di jihadisti” verso la Siria e l’Iraq: tremila combattenti solo nel 2014, secondo le stime delle intelligence straniere, 1.200 secondo il governo. Inoltre, come fa notare Larbi Sadiki, docente di politica mediorientale all’università di Exeter sulle colonne di al-Jazeera, per oltre sei mesi si erano avvicendate fughe di notizie dei servizi segreti sulla volontà dell’Isis di espandere i fronti jihadisti dalla Libia alla Tunisia. Notizie che i politici tunisini non potevano non sapere.
Eppure, stando alle testimonianze degli abitanti del quartiere colpito dagli attacchi di ieri, davanti al museo Bardo, una delle principali attrattive turistiche della città, “non ci sono mai agenti di sicurezza”. E sebbene secondo le prime ricostruzioni dell’attacco il museo sarebbe stato il “ripiego” del commando che non era riuscito a colpire il vicino Parlamento e non l’obiettivo principale, è certo che l’attentato di ieri è stato percepito anche come un attacco al turismo, che almeno fino alla rivolta del 2011 era la principale fonte di entrata dell’economia tunisina. Ora rappresenta il 7 percento del prodotto interno lordo, in una nazione che aveva appena ricominciato a contare sull’arrivo di turisti, soprattutto italiani: i dati raccolti dall’Ansa parlano di un picco nel 2009, con 383 mila presenze, cui è seguito il crollo del 2011 con 120 mila, con una costante risalita che andava di pari passo con i successi politici della transizione tunisina fino ai 252 mila turisti italiani registrati nel 2014.
Alle prese con un’economia in condizioni critiche già durante l’era di Ben Ali, con una corruzione diffusa e con un tasso di disoccupazione giovanile che, fermo oltre il 30 percento, è tra i più alti del mondo arabo, il turismo appariva come la strada migliore da percorrere per risanare le casse dello Stato. In quest’ottica si devono leggere le dichiarazioni rilasciate dalla ministra del Turismo Rekik all’Ansa, che il 17 dicembre snocciolava le nuove strategie del governo per riavviare il settore: “Fino ad ora – ha spiegato in un’intervista all’Ansa – l’80% del nostro mercato era rivolto al turismo balneare. Adesso vogliamo puntare anche su altri settori come il turismo culturale, valorizzando i nostri siti archeologici come Cartagine, El Jam o il Museo del Bardo dove è custodita la più ricca collezione di mosaici romani del mondo; vogliamo promuovere il golf e la talassoterapia, in cui siamo i secondi al mondo dopo la Francia, o ancora siamo intenzionati a sviluppare il turismo sahariano nelle aree interne del Paese”. E per raggiungere gli obiettivi prefissati era necessario, secondo la ministra, “migliorare la qualità; potenziare il trasporto aereo e marittimo; aumentare l’offerta turistica”.
Non solo turismo, però, ma soprattutto investimenti stranieri. “Il nostro messaggio – puntualizzava Rekik – riguarda anche l’economia: dobbiamo dare fiducia agli imprenditori stranieri che vogliono investire in Tunisia”. A questo proposito il premier Habib Essid aveva appena dato alcune anticipazioni alla stampa tunisina: un nuovo piano economico 2016-2020 con l’obiettivo di raggiungere un livello di crescita del Pil del 7 percento annuo. Un piano, a detta del premier, “da sottoporre a consultazione generale, che consentirà di avviare o portare a termine riforme strutturali in grado di far ripartire l’economia nazionale”. Un’economia, secondo i dati diffusi dall’Ansa, cresciuta del 2,8 percento nel 2014, per la quale si prevedeva una crescita del 3,7 percento nel 2015. Ma ora è tutto da rivedere.
Tanto per cominciare, Costa Crociere ha appena sospeso tutte le sue prossime fermate nei porti tunisini e ha dichiarato di essere impegnata a cercare attracchi alternativi. Il comunicato stampa della compagnia di navigazione genovese, seppur scontato, arriva come una doccia fredda sui sogni tunisini di rilancio dell’economia basato sul potenziale del traffico marittimo nel Mediterraneo. Sono state 250, infatti, le navi che nel 2014 hanno fatto scalo nei porti tunisini, con 600 mila passeggeri scesi nel paese. Ora Tunisi rischia di vederli ridursi drasticamente: già due tour operator tedeschi hanno detto di voler cancellare i viaggi verso le località balneari della Tunisia per un paio di giorni, e non ci vorrà molto prima che altre agenzie prendano gli stessi provvedimenti. Nena News